Giuseppe Gallizioli: «In ogni città un museo per gli artisti locali, vera ricchezza»

L'intervista all'artista e consigliere Aab è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo in occasione del 2023
L'artista Giuseppe Gallizioli nel suo studio - Fotostudio Rapuzzi
L'artista Giuseppe Gallizioli nel suo studio - Fotostudio Rapuzzi
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Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).

Legato alla sua città, ma con uno sguardo sempre vigile sull’arte europea del secondo novecento, Giuseppe Gallizioli ha svolto un ruolo di primo piano nel mondo culturale locale, agendo anche all’interno dell’Associazione artisti bresciani, di cui è vicepresidente. Nato a Costalunga, ha sempre conservato un forte legame con la terra e la natura di cui la sua pittura, tra realismo e rielaborazione simbolica, è stata costante strumento di celebrazione.

Gallizioli, partiamo da Brescia Capitale della Cultura. Cosa ne pensa?

Una bella opportunità per riportare al centro valori che sono andati un po’ perduti. Ogni città dovrebbe avere un Museo dedicato agli artisti locali, un patrimonio che le Istituzioni dovrebbero valorizzare in tutti i modi. Coi colleghi bergamaschi condividiamo delle radici culturali simili: in autunno ci sarà una collettiva con artisti delle due città, prima a Brescia nella sede dell’ex Cavallerizza e poi a Bergamo, nell’ex Chiesa della Maddalena. Sarà occasione di confronto, per riflettere su analogie e differenze in una prospettiva di dialogo.

Come ha fatto un ragazzino destinato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia a realizzare il sogno di fare l’artista?

Già a otto anni sapevo che volevo diventare pittore. Ricordo bene uno scappellotto della maestra perché mi ero distratto disegnando, ma ricordo anche che durante una visita dell’ispettore scolastico (erano gli anni della guerra), alla domanda se ci fosse un «artista» in classe, la stessa maestra mi indicò facendomi alzare in piedi. Un’altra volta su una bancarella di libri fui rapito da un’edizione preziosa della «Storia dell’impressionismo francese»: un volume troppo caro, che i miei genitori per accontentarmi acconsentirono ad acquistare a rate. Quando arrivò il momento di iniziare a lavorare nella campagna di famiglia, uno zio mi parlò della Scuola serale dell’Aab che allora era una piccola accademia, dove insegnavano maestri importanti come Emilio Rizzi. Tita Mozzoni e Domenico Lusetti. Avevo tredici anni, una zia mi accompagnò la prima volta, in bicicletta, e poi ci andai sempre da solo. Pedalavo con gioia per essere puntuale a seguire i corsi, che terminavano alle dieci di sera. Li ho frequentati per sei anni. Poi ho finito con l’insegnarvi e diventare parte del Consiglio direttivo…

Dall’Aab all’Europa, la sua formazione è poi proseguita grazie a importanti frequentazioni internazionali.

All’interno dell’Associazione si era legati da un’amicizia vera e dalla condivisione di tanti interessi culturali, si dibatteva molto, c’era uno scambio intellettuale continuo: cominciai a frequentare le Biennali, a visitare le gallerie importanti a Milano, a Roma, soprattutto insieme ai fratelli Fasser, Gigi in particolare. Nel 1969 vinsi una borsa di studio di grafica a Wolsburg, in Germania. C’era in generale uno spirito di condivisione e solidarietà che in seguito si è perso, forse a causa dei condizionamenti del mercato che hanno prodotto divisioni e gelosie immotivate. Grazie ad amici e colleghi si riusciva ad esporre nelle gallerie più significative d’Italia ed Europa: dalla partecipazione alle mostre del gruppo Phase a Parigi, da Belgrado ad Amsterdam, da Praga a Cracovia. Si partiva armati di spirito e coraggio, affrontando lunghi viaggi in automobile, senza conoscere la lingua, contando solo sul potere comunicativo della nostra pittura.

A 88 anni ancora dipinge, con entusiasmo immutato.

La pittura è la ragione stessa per cui mi alzo al mattino. Dipingere è il mio modo di celebrare la bellezza. Il fatto estetico è sempre stato al centro dei miei interessi. Amo la natura e le sue manifestazioni più gioiose: adoro i fiori e i giardini. Oggi più che mai il mio giardino, a cui dedico tanto lavoro e tanta fatica, è il mio posto dell’anima.

A questo link l’intervista allo specchio curata da L’Eco di Bergamo >>

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