Giovedì Santo ai tempi del coronavirus: la riflessione

Un triduo pasquale accompagnato dai pensieri di mons. Gabriele Filippini rivolti ai nostri lettori
Leonardo, L'ultima cena - Foto © www.giornaledibrescia.it
Leonardo, L'ultima cena - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Con il Giovedì Santo si chiude il periodo delle quaresima e si entra nel triduo pasquale, quei tre giorni cioè in cui si commemorano passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo e che culminano appunto con la Pasqua. Al centro della liturgia c'è soprattutto il rito dell'Ultima Cena, con l'annuncio del tradimento di Giuda, l'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio ministeriale e la cerimonia della lavanda dei piedi.

Per l'occasione vi proponiamo le riflessioni che mons.Gabriele Filippini, direttore del Museo Diocesano e responsabile della cultura della Diocesi, ha scritto per accompagnare i fedeli lungo queste giornate così cariche di significato.

Oggi è il Giovedì Santo. Inizia il Triduo pasquale, centro del cristianesimo. E pur avendo la possibilità di assistere ai riti trasmessi dai media o attraverso i social, non saranno pochi i bresciani che avvertono una malinconica nostalgia per quella messa con la lavanda dei piedi, il più delle volte a dodici chierichetti vivaci e sorpresi.

A qualcuno mancherà quella preghiera silenziosa in chiesa per fare, come si diceva, compagnia a Gesù che disse ai tre apostoli addormentati: "non avete saputo vegliare un'ora con me?". Qualche anziano ha detto che nemmeno durante la guerra chiese e scuole erano chiuse. Per la guerra in corso contro il coronavirus non ci è dato nemmeno il conforto di sedere qualche attimo fra i banchi delle nostre belle chiese.

E, forse, oggi del Giovedì Santo siamo più portati a pensare al buio di quella notte. La notte del bacio che tradisce, la notte dell'abbandono da parte degli amici più cari, la notte del processo iniquo basato su falsità e menzogne, la notte dei trenta denari per una ingiusta condanna. Sono esperienze terribili che possono toccarci. E questi tristi tempi di nuove pestilenze ci fanno sentire traditi, abbandonati, in balia di incertezze. Certamente tristi.

Ma questo è solo un approccio parziale al Giovedì Santo. Prima del Getzemani questo giorno ricorda l'ultima cena: un momento di intimità, di gioia, di convivialità, di familiarità. Una sera nella quale Gesù lava i piedi ai suoi amici, condivide il pane, fa loro bere il vino dallo stesso calice. E dice "fate questo in memoria di me". Questi suoi gesti squarciano il buio di quella notte. E se li ripetiamo, hanno anche oggi il potere di squarciare il buio di ogni nostra notte. Lo ha ben spiegato il Vescovo mons. Tremolada nell'ultimo Quaresimale in Cattedrale. Ogni nostro gesto di amicizia, fraternità e solidarietà ha il potere di vincere ogni forma di male.

E allora in questo Giovedì Santo dobbiamo ancor di più guardare a quelle luci che sono più forti del virus della pandemia: quelle che si accendono grazie a medici, infermieri volontari. Quelle che accendono le persone, molti i giovani, in strutture di assistenza e carità, quelle che si accendono per operai che lavorano per non far mancare il necessario, di imprenditori che "riconvertono" le loro fabbriche per rispondere alle priorità dell'ora presente, quelle accese da tante persone che aiutano vicini, parenti, sconosciuti più deboli e fragili. È buio questo Giovedi Santo, ma quanta luce c'è per vincere questo buio. Sembra già di intravedere qualcosa della Pasqua. 

 

 

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