Giorgio Napolitano, «compagno presidente» nel ricordo di Corsini

Dalle tavolate sul Pci alla dialettica ideologica ai rapporti istituzionali: i ricordi dell’ex sindaco di Brescia
Napolitano tra Martinazzoli e Corsini quando venne a Brescia nel 2004 - Foto New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
Napolitano tra Martinazzoli e Corsini quando venne a Brescia nel 2004 - Foto New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
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«Sono moltissimi i ricordi personali che si affastellano nella mia mente se penso a Giorgio Napolitano». Paolo Corsini, già sindaco di Brescia e parlamentare, ritorna alle numerose occasioni che lo hanno visto incontrare l’autorevole politico divenuto poi presidente della Repubblica.

«L’ho conosciuto nella seconda metà degli anni Settanta, al tempo delle mitiche assemblee del Pci bresciano. Napolitano interveniva soprattutto su temi di natura sociale o di politica estera - continua Corsini -. Mi sovviene particolarmente di un’occasione, alla fine del 1979, l’anno in cui il Partito comunista si apprestava ad intraprendere la strategia dell’alternativa democratica dopo la stagione del compromesso storico e i governi di solidarietà nazionale. In quella che un tempo si chiamava "la trattoria di via Milano" avemmo una discussione molto serrata: un confronto sulle prospettive del Partito e di sviluppo della società italiana.

La mia grande soggezione nei confronti di Napolitano scaturiva dalla sua biografia personale, dalla sua appartenenza alla tradizione di un partito dall’aureola mitica e ancor più dalla sua cultura e autorevolezza. Poi, in occasione della XIII legislatura, a partire dal 1996, i nostri rapporti si sono fatti più frequenti a motivo degli incontri nel corso delle riunioni della Commissione Affari costituzionali alle quali Napolitano partecipava in qualità di ministro dell’Interno - continua -. Si è lavorato con molto impegno soprattutto in vista della promulgazione della nota legge Turco-Napolitano, un passaggio significativo nella politica migratoria del nostro Paese. Ricordo la sua puntigliosità, la sua meticolosità, la sua capacità di dialogare con tutti, anche con le opposizioni. Una grande lezione di stile».

Visioni diverse

Un solo partito, due sensibilità: Napolitano aveva un’anima amendoliana-riformista, il cui disegno perseguiva la riunificazione dei percorsi della sinistra nel segno del riformismo socialista. Paolo Corsini, invece, era al tempo un convinto berlingueriano.

I ricordi si susseguono, servono a ridefinire anche il percorso della vita di chi racconta, parlando di chi ci ha lasciato. «Nel dicembre 2004 Napolitano venne a Brescia per presentare con Mino Martinazzoli e con me il libro di Adelio Terraroli, un socialdemocratico ante litteram, dedicato alle lotte operaie e alle trasformazioni sociali degli anni Sessanta: un bel dibattito, con gli interventi sapienziali di Mino. Nell’occasione, Napolitano fu in netto disaccordo con me in quanto avevo criticato il silenzio dei comunisti italiani seguito al crollo del Muro di Berlino e al fallimento del comunismo nei Paesi dell’Est. Mi contrappose un esempio personale: la pubblicazione, da parte sua, di un saggio "Dal Pci al socialismo europeo" con il quale aveva fatto i conti con la Storia, lui riformista ed europeista riconosciuto, lui che Henry Kissinger aveva definito "un comunista liberale", il primo esponente di rilievo del Pci a tenere una conferenza in un’università degli Stati Uniti».

Quando mi negai al telefono

Un ulteriore ricordo significativo risale al 2013, quando Paolo Corsini venne ricevuto da Napolitano nel suo ufficio di palazzo Giustiniani a Roma. L’occasione fu la pubblicazione del libro «Storia di Brescia: politica, economia, società, 1861-1992» scritto dall’ex sindaco con Marcello Zane. «Consegno il volume al presidente e lui si mette a piangere evocando l’episodio della lettera che il socialista bresciano Sergio Moroni gli aveva inviato, in qualità di presidente della Camera, prima di suicidarsi: la commozione di un vecchio con alle spalle decenni di storia vissuta, l’accumularsi di sentimenti che lo riconducevano ai primi anni Novanta, alle tensioni tra politica e giustizia».

Ancora due episodi: Giorgio Napolitano «che mi cerca insistentemente al telefono. Ero in vacanza e Luigi Zanda, presidente del gruppo parlamentare del Pd al Senato, mi avvisa: se chiama, non rispondere. Altrimenti ti prenderai una lavata di capo. Non risposi». Le ragioni? «Avevo espresso sul Corriere della Sera una critica circa il suo comportamento da presidente nei confronti della riforma costituzionale di Matteo Renzi. Mi fece recapitare un biglietto con giudizi piuttosto severi. Poi intervenni in Senato, motivando le mie critiche alla riforma. E Napolitano apprezzò le mie argomentazioni riconoscendone, cito testualmente, "la fondatezza e il livello culturale"».

Infine l’ultimo incontro: «la presentazione a Montecitorio, cui partecipai con Giuliano Amato, della biografia di Mino Martinazzoli curata da Annachiara Valle. Ebbene, Giorgio Napolitano accanto ad espressioni di stima per Mino ebbe parole di grande apprezzamento per la tradizione politica del cattolicesimo democratico, nonché per le sollecitazioni provenienti dalla cultura cattolica».

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