Ghiacciai in pericolo divorati dal caldo: anche l'Adamello è osservato speciale

L’Adamello e la Marmolada sono due ghiacciai completamente diversi. Impossibile fare parallelismi: il primo è il più esteso d’Italia, con i suoi 14,35 chilometri quadrati (dato 2020), e ha uno sviluppo pianeggiante, senza sottendere a zone abitate; il secondo è molto piccolo, appoggiato sul versante della montagna. Un «dettaglio» che ha favorito il crollo del seracco che ha travolto gli escursionisti. I due ambienti sono però assoggettati a un unico, inesorabile destino: lo scioglimento, «per mano» dei cambiamenti climatici.
Acqua di fusione
Dai primi rilievi parrebbe che, a fare da scivolo alla massa di ghiaccio collassata dalla Marmolada, sia stato un accumulo d’acqua di fusione nella conca sotto la vetta. Acqua di fusione che è la compagna di viaggio di tutti gli alpinisti che, negli ultimi anni, si portano in Adamello: ovunque, impetuoso o più tenue, si sente (e si vede) il fragore di cascate d’acqua, effetto dello sciogliersi, quest’anno ancora più marcato, del ghiaccio.
Ne abbiamo parlato con Valter Maggi, docente di geografia fisica e geomorfologia all’Università Bicocca, membro del Comitato glaciologico italiano e responsabile del progetto ClimAda, che mira alla ricostruzione climatica e ambientale dell’Adamello, anche attraverso un carotaggio di 270 metri effettuato l’anno scorso. «Si tratta di due ghiacciai completamente diversi - afferma Maggi -, sulla Marmolada si è staccato un grosso peso in bilico su uno strapiombo, purtroppo è avvenuto sulla strada degli alpinisti. Ma tutti i ghiacciai si muovono e ogni tanto scaricano materiale, anche l’Adamello e il Mandrone, ma in un ambiente molto esteso dove si nota meno e dove non passa nessuno. Tutto quanto sta in alta montagna è a rischio caduta, è impossibile fare previsioni».
Il monitoraggio dei ghiacciai

L’Adamello si sta ritirando molto velocemente, perché è posto a bassa quota (il Pian di neve è a 3.100 metri): non si sta contraendo solo la fronte, ma si abbassa pure in superficie. Una situazione generalizzata sui ghiacciai alpini, ma più marcata in Adamello, per la sua grande estensione, che ne amplifica gli effetti. «È un problema di cambiamenti climatici su scala globale - aggiunge il docente universitario -, che nella zona alpina hanno un’influenza doppia. L’unico rimedio è la riduzione delle emissioni, per rallentare il trend nella speranza che si fermi o inverta».
L’unico modo per prevenire fatti come quello in Marmolada è un sistema di monitoraggio dei ghiacciai. «Certo, non serve a evitare i disastri - conclude Maggi -, ma sapremmo quali sono le zone più a rischio, soprattutto dove passa gente. Come in Val d’Aosta, dove c’è un sistema radar sui ghiacciai sopra i centri abitati: in caso di movimenti, scatta un allarme. In Italia non c’è una politica di monitoraggio e non abbiamo informazioni.
L'emergenza
Le montagne, i ghiacciai, per quanto belli e affascinanti, restano sempre un ambiente ostile. Negli ultimi anni sempre più frequentato, anche da persone poco preparate, nonostante le grandi trasformazioni che stanno subendo. Per Luca Albertelli, geologo camuno membro del team di ClimAda, si tratta però di trasformazioni «con cui l’uomo da sempre convive e saprà adattarsi anche in questo caso. Si riscontra una grande attenzione della comunità scientifica, e il progetto ClimAda lo dimostra, quel che manca è un quadro normativo, per un fenomeno che governerà tutte le trasformazioni dei prossimi anni. Da noi si agisce purtroppo sempre in emergenza, come sta avvenendo per la crisi idrica, perché è difficile fare programmazione e prevenzione sui cambiamenti climatici. È sul tema della sicurezza che si può fare tanto».
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