Fridùr e napù rós di un Cyrano di paese

A proposito di eredità somatiche e modi di dire
Un omaggio a Cyrano de Bergerac
Un omaggio a Cyrano de Bergerac
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«Madói, che napù rós. G’hét el fridùr?» Il vecchio amico approfitta subdolo della mia costipazione per schernire il mio naso sofferente (e già importante di suo, ci mancava solo il raffreddore). Non a caso usa grossolanamente il termine napù che è un accrescitivo di nàpa, termine che il dialetto bresciano condivide con quello veneto per indicare una «nasaccia o nasone», come recita il Dizionario Veneziano-Italiano pubblicato nel 1928 dal professor Giuseppe Piccio. Nàpa, in realtà, suona anche come contrazione di canàpia, parola ampiamente utilizzata in Emilia Romagna e a cui si richiama tra l’altro la maschera padana Facanapa, marionetta dal nasone prominente.

Sentendomi dare volgarmente del nasuto, come un qualsiasi Cyrano di paese mi incaponisco e cerco nella memoria tutti i modi di dire dialettale che coinvolgano il naso. Ecco quelli che ho trovato: regordàs gnà dal nàs ala bóca (essere massimamente smemorato), bagnàga el nàs a vergü (superare qualcuno in scaltrezza), quand che spür el nàs, notìsie en viàs (prurito di naso, novità in arrivo), nàs che pìsa en bóca, guai a chi la tóca (il naso aquilino è segno di persona suscettibile), ìga el nàs leàt (essere schifiltoso o scontroso). E ancora: frigàs zó el nàs, sopiàs el nàs, mocà el nàs (soffiarsi il naso).

Ma l’espressione cui sono più affezionato l’ho ricevuta in eredità da mio nonno (esattamente come il naso di cui sopra) e recita così: «Chi g’ha un bù nàs g’ha un bù mostàs». Caro, subdolo amico, ciàpa...

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