Frane e alluvioni, 67mila bresciani vivono in aree a rischio idrogeologico
La provincia di Brescia è la seconda in Lombardia, dopo Sondrio, per numero di frane e si contraddistingue per la grave fragilità del suo territorio. L’ultimo caso è di giovedì sera, con la roccia che si è staccata dalla parete a Limone del Garda e i detriti hanno invaso la 45bis sfiorando l’ingresso di un albergo.
Secondo il Piano per l’assetto idrogeologico, stilato dall’Autorità di bacino del Po, sono oltre 30mila gli smottamenti (41mila a Sondrio) che hanno interessato la nostra provincia. Un dato in verità molto generico, che dice poco o nulla, almeno secondo i geologi del Broletto, perché «mette tutto in uno stesso calderone, dalla caduta del singolo masso al disgaggio di grossi detriti, fino allo scivolamento del terreno, tipo quello che sta avvenendo sul lago di Iseo». È comunque un dato che fotografa la situazione, tant’è che se sulla lettura dei numeri possono emergere divergenze, c’è assoluta unanimità invece sulla criticità idrogeologica del nostro territorio, che è parte di una regione, la Lombardia, che ha il 44% dei Comuni a rischio frane e alluvioni. «A questo - spiega un geologo contattato - bisogna aggiungere anche il rischio sismico che va a complicare ulteriormente una situazione già molto fragile».
Sotto la lente
Una condizione che esula dalla crisi climatica, che però ha inevitabilmente un impatto notevole sul territorio: secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, infatti, nel 2023 sia in Lombardia in generale sia nella nostra provincia sono aumentati gli eventi quali frane e smottamenti. Le aree più colpite dal rischio idrogeologico, senz’altro, sono le valli, dove le alluvioni minacciano costantemente residenti e paesi, spesso isolati per la chiusura delle strade. A definire il livello del rischio idrogeologico è l’Ispra che, nella nostra provincia, individua circa 67mila bresciani che vivono in aree con pericolosità/probabilità idraulica media, il 5,4% della popolazione.
Falesia friabile

Nelle ultime settimane è stato l’Alto Garda a finire sulle pagine di cronaca dei giornali per le due frane che hanno interessato prima Tremosine, il 16 dicembre, poi Limone giovedì sera. Del resto, è ben nota la friabilità della falesia che da Gargnano arriva fino a Riva del Garda, che da sempre crea non pochi problemi alla viabilità della Gardesana e ai Comuni lacustri. Una falesia, però, che non presenta le stesse caratteristiche, ma che «ha situazioni geologicamente complesse ma molto diverse tra loro» spiega Antonio Conti, titolare dell’omonimo studio di Toscolano Maderno che si occupa di pianificazione territoriale, idraulica e geotecnica per diversi enti pubblici. «Non c’è un acutizzarsi delle frane - afferma - perché ci sono anni con più episodi, anni con meno. I Comuni hanno fatto tantissime opere per la salvaguardia dal rischio idrogeologico, con Anas e Comunità montana e il rischio si è abbassato, non di tantissimo ma si è abbassato».
Valcamonica, l'area più fragile
L’area più colpita rimane, comunque la Valcamonica: i più grandi dissesti, a partire da quello della Val Rabbia di Sonico sino al più recente di Niardo, hanno provocato devastazione e criticità anche nell’ultimo periodo. Ma soprattutto, con i cambiamenti climatici in corso - si alternano periodi di siccità a nubifragi, trombe d’aria e bombe d’acqua - non c’è angolo di Valle che non vada in crisi.

Basti guardare all’ultimo evento estremo d’inizio dicembre, quando, da Vione sino a Pisogne, quasi nessuna località è stata esclusa da smottamenti piccoli o grandi. Fragilità cui è difficile porre rimedio in modo definitivo, nonostante negli anni siano stati decine i milioni di euro investiti per mettere in sicurezza i versanti montani, posare reti contenitive e rinforzare e ripulire gli argini dei torrenti affluenti del fiume Oglio. Sotto accusa la mancanza di manutenzioni di un reticolo di corsi d’acqua che, con le piogge, porta a valle migliaia di metri cubi di materiale, riempiendo così tutte le opere di difesa posate.
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