Ersaf, 5 scenari per curare i campi al Pcb della Caffaro

La squadra di scienziati presenta agli enti i risultati degli studi: ecco il conto delle opzioni sul tavolo
Uno dei tecnici Ersaf impegnato nei rilievi - © www.giornaledibrescia.it
Uno dei tecnici Ersaf impegnato nei rilievi - © www.giornaledibrescia.it
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Diciamolo onestamente: quei terreni erano rotolati decisamente in fondo alla lista delle priorità. Sia inteso: non per negligenza, ma perché purtroppo la bomba ecologica scoppiata dallo stabilimento Caffaro di via Milano ha infestato e avvelenato tanto capillarmente Brescia da costringere tutti, in qualche modo, a «correre ai ripari» partendo dalle zone più a rischio.

E così, nella ruota panoramica dell’emergenza, quei terreni (pubblici e privati) sono stati a lungo osservati in lontananza. Ma ora, davanti a loro, ci sono cinque possibili «piani di cura».

A pensarci, anno dopo anno, con la pazienza discreta e analitica che guida gli scienziati, è stata però l’équipe di Ersaf, acronimo di Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste. Sei anni di lavoro e di scoperte (era il 2013 quando è stata avviata la prima attività) e centinaia di analisi «sul campo» dopo, il team guidato da Paolo Nastasio, a capo del Settore biodiversità, ha il suo verdetto per la città. Cinque scenari, con tanto di piano economico, per il «dopo Caffaro» agricolo.

Il primo scenario (plausibile), classificato come «opzione zero», è quello di non procedere con alcun intervento. Ipotesi che bloccherebbe le attività di fitocontenimento portate avanti dall’ente, uno scenario a costo zero appunto.

1. Prima opzione, il fitocontenimento
Con trinciatura dei prati e manutenzione delle aree, lavoro che presenterebbe un preventivo di 50 mila euro all’anno, 3 milioni di euro per 60 anni.

2. Seconda opzione, il ritorno alle attività agricole
All’interno del quadrilatero del Pcb, procedendo cioè con la produzione di alcune colture «immuni» agli effetti dei policlorobifenili e perciò classificate come sicure. I costi? Per il conto corrente pubblico nessuno.

3. Terza opzione, il bosco urbano
L’opzione tre è quella del bosco, la cui nascita - di fatto - creerebbe una sorta di messa in sicurezza naturale. Una strada, questa, che piace alla politica e che vede al momento un sì pressoché bipartisan. Ma solo in parte. La volontà politicamente condivisa di creare un bosco urbano riguarda infatti solo venti degli oltre cento ettari di campi agricoli che si trovano a sud della Caffaro. La zona individuata (che andrebbe a caratterizzarsi con l’avvento di specie di piante autoctone) è quella più a nord, dove la contaminazione è maggiore. Per farlo, gli enti dovranno avviare le trattative con i proprietari di quei campi con un preventivo che varia da 100 mila euro a un milione e con la rassicurazione di un contributo regionale: il tutto con la prospettiva di un piano di sviluppo rurale dal 2021 al 2027. Se invece si prendesse in considerazione l’intera estensione dei terreni agricoli, il conto presentato da Ersaf è di 10.888.000 euro, incluso l’acquisto delle aree.

4. Quarta opzione, la bioremediation
Soluzione che «rappresenterebbe l’applicazione in campo della sperimentazione condotta da Ersaf». I vantaggi? «Così - si legge nel dossier - si andrebbe a intervenire sulla riduzione della contaminazione nel suolo fino auspicabilmente al raggiungimento degli obiettivi di bonifica». Due i preventivi: senza acquisto delle aree (si tratta di 54,9 ettari) si parla di un investimento di 14,5 milioni, mentre acquisendo i terreni il conto sfiora i 20 milioni.

 

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