Due infermiere, russa e ucraina, cercano verità sulla guerra

Colleghe in Poliambulanza e amiche, tra loro parlano russo: «I popoli sono più avanti di chi li governa»
Irina, infermiera ucraina e Albina, studentessa russa, insieme alla Via Crucis del Venerdì Santo - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Irina, infermiera ucraina e Albina, studentessa russa, insieme alla Via Crucis del Venerdì Santo - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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L’odore della guerra possiamo solo immaginarlo, noi che ne scriviamo da lontano, che ne siamo spettatori senza veder scorrere sangue e lutti. L’odore della paura, invece, lo abbiamo sentito, annusato. Capito.

Sull’onda lunga della partecipazione di due amiche, una donna russa e una ucraina, alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, e della polemica che ha preceduto e seguito l’invito di Papa Francesco, abbiamo chiesto a due colleghe e amiche bresciane, una di origine russa e l’altra ucraina, di raccontarci cosa pensano della tragedia che si sta consumando tra i loro due Paesi.

Entrambe sono infermiere in Poliambulanza. Marina Sitdikova, nata a Perm, città della Russia europea orientale ai piedi degli Urali, a quasi duemila chilometri ad Est da Mosca, ha accolto il nostro invito come un’opportunità. Un’occasione per dimostrare che esiste una differenza sostanziale tra le popolazioni e chi decide per loro e sulla loro pelle.

La collega ucraina, invece, vuole mantenere l’anonimato. Ha paura delle conseguenze che le sue parole di pace e, soprattutto, la sua amicizia con una donna russa, possano creare problemi a lei e alla famiglia che è rimasta a casa. La chiameremo Ludmilla. Marina e Ludmilla si confrontano spesso, consapevoli anche che la loro è una professione che ha come obiettivo quello di salvare vite e alleviare il dolore. Spogliate dalle vesti di infermiere, non possono trasformarsi in guerrafondaie, seppur solo a parole.

«Ci confrontiamo senza animosità e, soprattutto, senza esprimere giudizi su una parte o sull’altra del fronte. Noi ci vogliamo bene. Lei è in stretto contatto con la sua città di origine e mi riferisce quello che dicono rispetto a ciò che accade - racconta Marina -. Io faccio altrettanto, per quel che riesco a sapere quando parlo con mia madre via skype. Lei mi mostra quello che legge, io faccio lo stesso.

Poi, mescoliamo le informazioni per cercare di capire cosa tenere e cosa buttare consapevoli, entrambe, che prevalgono le notizie false».

Marina ricorda i giorni che hanno preceduto l’ingresso dei carri armati ucraini in Russia. «Non credevo che potesse accadere. Conoscendo Putin, pensavo fosse una provocazione e quando, invece, l’invasione è iniziata, mi è caduto il mondo addosso. Una delusione enorme. Parlando con Ludmilla, ho scoperto che in Ucraina gli addestramenti per imparare a combattere vanno avanti da anni. E mi è caduto un altro mondo addosso. Com’è possibile? Vedete, io sono pacifista nell’animo. Lo sono sempre stata, anche quando le guerre si combattevano in Afghanistan, in Iraq, in Siria, solo per citare alcuni dei Paesi devastati dai conflitti.

Di certo sono un’ingenua, ma credevo anche che l’invasione dell’Ucraina durasse due o tre giorni al massimo. Provocazioni, pensavo. Invece no, è guerra». Ancora: «Non riesco a dare un giudizio perché tutto è avvolto nelle bugie. Non riesco proprio, se non condannare l’orrore per tutti i morti innocenti causati da questa follia. Follia? Mi chiedo se Putin, di certo una persona intelligente - almeno questo credevo che fosse - abbia ponderato le conseguenze delle sue azioni, anche per il popolo russo. Lo spero proprio. Di certo c’è che io non posso andare a trovare la mia famiglia, ed è terribile. Sono rimasta bloccata per due anni a causa del Covid ed ora a causa della guerra. Ecco la prima, forse banale, conseguenza, tra le molte che hanno sconvolto le vite degli ucraini e dei russi».

Sul lavoro, i colleghi spesso si prendono gioco di loro, per stemperare la tensione, e le invitano scherzosamente a guerreggiare. Loro sorridono e commentano in russo, perché quando si parlano usano questa lingua che fino alla caduta dell’Unione sovietica era conosciuta da tutti gli abitanti delle quindici repubbliche che ne facevano parte. È ancora Marina a raccontare che, poco più che ventenne, ha lasciato la Russia per Brescia, approfittando di alcuni posti alla Scuola di infermieristica al Civile riservati a studenti stranieri.

«Quando ero in Russia avevo voglia di andare via, affascinata dall’Occidente, e l’Italia capitale dell’arte era la destinazione per me, che amo dipingere. Vivo quello che sta accadendo ora, con la pesante limitazione delle libertà personali, come un ritorno alla vecchia Urss. Il punto è che per i più anziani, quelli che la dittatura l’hanno conosciuta, è quasi normale non poter parlare. Erano abituati e quello che accade è solo un’altra tappa della loro storia. I giovani no. Loro sono europei a tutti gli effetti e sono angosciati. Le persone sono più avanti di chi le governa: deve cambiare qualcosa, ma come ribellarsi? Come?».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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