Dopo 80 anni di silenzio, storia di un partigiano per la libertà
Una manciata di metri dall’arengario dal quale nel 1932 Benito Mussolini declamò l’inaugurazione della piazza simbolo del razionalismo fascista. Tanta è la distanza, insignificante ma simbolicamente immane, da uno degli ultimi partigiani. Per la prima volta apre le porte del suo appartamento in piazza Vittoria a Brescia per raccontare la propria Resistenza. Lui, che in quasi 80 anni è rimasto lontano dai riflettori parlando solo ai propri cari, ora si sente quasi in dovere di farsi divulgatore.
«Non sento grandi responsabilità e non ho mai raccontato nulla prima, ma ora che sento ripetere che non esistono più i partigiani ho voluto parlare». Luigi Zanoletti compirà 97 anni il prossimo 25 settembre, ma ha impresso nella memoria ogni passaggio di quei terribili anni. Arruolato nell’Aeronautica a 18 anni, finisce in servizio nella Repubblica di Salò, «mio malgrado». E alla domanda se sia mai stato fascista, la sua esclamazione è genuina ed emblematica: «Per l’amor di Dio, non mi dica questo! Ricordo che quando il sabato facevano le adunate io scappavo all’oratorio della Pace».
E fugge anche dall’ultimo baluardo del fascismo a pezzi, insieme ad altri tre disertori bresciani. È l’estate del 1944 e i quattro giovani vogliono raggiungere i partigiani in Piemonte: «Un camion ci ha portato in provincia di Asti, sapevamo che i partigiani erano lì. Indossavamo ancora le divise quando siamo arrivati a Piovà Massaia: c’erano quattro partigiani coi fucili in braccio. Non credevano che volevamo unirci a loro e ci hanno imprigionati per alcuni giorni».
Senza retorica
Zanoletti macina ricordi come se avesse aspettato tutta la vita per raccontarli oltre la cerchia familiare. Alterna ferma lucidità, serietà e un pizzico di ironia, ma non cade mai nella retorica - comune denominatore dei portatori sani di memoria. Nel settembre del 1944 il bresciano viene liberato ed entra nella Divisione Monferrato della 19ª Brigata Garibaldi. «Facevamo tanti sopralluoghi, ma ci trovavamo nel fulcro della Resistenza ed eravamo intonsi dai tedeschi e dai repubblichini. Ma una volta abbiamo avuto uno scontro: eravamo meno di dieci e male attrezzati con mitra della Prima guerra mondiale. Sentiamo arrivare un cingolato che si avvicina insieme a dei soldati tedeschi, ci nascondiamo su un’altura e tendiamo loro un’imboscata. Quella è stata l’unica volta che ho sparato. Dopo 20 giorni, però, c’è stato un grande rastrellamento e siamo stati costretti alla fuga fino a Cuneo perché senza armi».
La Liberazione
Tra un racconto e l’altro il 96enne mostra orgoglioso gli attestati originali della Presidenza del Consiglio con i quali nel 1947 la commissione gli ha riconosciuto la qualifica di «partigiano», dal 10 settembre del 1944 al 7 giugno del 1945. «In tanti hanno detto di essere stati partigiani, ma non tutti lo sono stati», aggiunge con amarezza. Poi la mente torna subito indietro, ai tempi della Liberazione: «Il 25 aprile ero nascosto a Gussago con un mio amico che aveva una pallottola nel piede, mentre io avevo la febbre maltese. Ma non c’era solo atmosfera di festa, in quel periodo la confusione era tanta: ricordo che un mio amico era così contento di essere libero che salì sul primo tram, ma venne assalito da sbandati della Repubblica di Salò che lo fucilarono. Nelle settimane successive al 25 aprile non passava giorno che per strada non trovassero dai 5 ai 10 morti. C’erano tante vendette».
Ma la storia è un vortice continuo e in un periodo in cui la Resistenza italiana è spesso assimilata a quella ucraina degli ultimi mesi, Zanoletti non indugia: «Sono assolutamente diverse. Noi eravamo in una guerra mondiale nel mezzo tra gli Alleati, la Repubblica di Salò e i tedeschi, ma avevamo la nostra autonomia ed eravamo temuti. Sono d’accordo con la posizione dell’Anpi».
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