Cultura

«Riccardino», la trovata di Camilleri per congedare Montalbano

Il compianto scrittore, il personaggio letterario e quello tv si confrontano in un gioco di specchi nell'ultimo libro in uscita per Sellerio
Andrea Camilleri - Foto Ansa/Angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
Andrea Camilleri - Foto Ansa/Angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
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Il commissario Montalbano non muore e non va in pensione. «Alla fini, davanti a lui, ci fu solo ’na pagina bianca. Allura accapì quello che gli ristava da fari». Di sua spontanea volontà esce di scena, consumando l’ultima amara vendetta. Come? È una storia tutta da leggere.

Solo un maestro del teatro come Andrea Camilleri poteva architettare una messinscena così avvincente. Nella trama e nella regia, nella finzione e nella realtà. L’attesa, l’elaborazione corale del lutto, il rito liberatorio della lettura, il rimpianto: «Riccardino», il finale dell’epopea, era già il libro più venduto ancora prima di essere in libreria. Diciamolo subito: lo merita. Salvo svanisce. E Livia? E Fazio, Mimì Augello e Catarella che fine fanno? Il problema non era dare un destino ai personaggi del Commissariato di Vigata bensì risolvere il nodo che legava Salvo Montalbano e l’autore che lo ha messo al mondo. Questo era il dilemma che attanagliava Camilleri quando nell’estate del 2005 affidò alle mani di Elvira Sellerio il manoscritto dell’ultima avventura di Montalbano, frutto di un anno di lavoro.

La vulgata, il mito, vuole che il romanzo fosse chiuso in cassaforte, mentre Antonio Sellerio ora rivela che stava in un cassetto, ma nessuno, oltre sua mamma, ha voluto leggerlo prima del tempo: sarebbe sembrato di voler anticipare la sorte. Anche Camilleri dava a quel testo un valore scaramantico. Due maestri del noir mediterraneo e suoi amici, Manuel Vázquez-Montalbán e Jean-Claude Izzo, gli avevano confidato di essere stanchi dei loro Pepe Carvalho e Fabio Montale, e di volersene disfare, ma poi repentinamente erano usciti di scena loro prima dei propri personaggi. Camilleri aveva allora deciso di essere lui, nel pieno possesso delle sue facoltà, a mettere la parola fine a Montalbano. Nel 2005 era sull’onda alta del successo: aveva appena pubblicato «La luna di carta», in meno di dieci anni aveva scalato tutte le classifiche editoriali e la serie televisiva era già alla quinta stagione. Camilleri aveva deciso che Montalbano sarebbe invecchiato, ma come tutti, non sapeva quanto tempo gli sarebbe rimasto. Il tempo gli ha poi concesso di scrivere altre quindici avventure del commissario di Vigata, «Riccardino» è il trentunesimo della lista. Ma in quell’estate decise, nel più puro stile teatrale, di costruire un metaromanzo, la storia che chiude le storie. Lo ha riscritto nel 2016, ma senza toccare la trama e solo per ragioni linguistiche: il vigatese è una lingua inventata ma viva, che cambia.

La chiave di lettura viene offerta fin dalle prime pagine. «Riccardino sono!» dice una voce squillante quando il commissario risponde al telefono che suona all’alba nella casa di Marinella, dopo una notte tormentata. Salvo non sa chi sia, ma se lo ritroverà poco dopo ammazzato - un colpo di pistola in faccia - su un marciapiede. Il Montalbano vero, giunto sul posto, ha una «violenta botta di nirbuso» quando dalle finestre la gente chiede: «Cu? Montalbanu? Chiddru di la televisione?». E appena arriva in ufficio, a Catarella che gli annuncia che «il professore Cavilleri la cerca», intima secco: «Se richiama digli che io non ci sono». Il caso si rivela presto come una storia di corna e soldi, corruzione e un pizzico di mafia velati dal perbenismo che tutto avvolge. Ma la sfida è un’altra. In un gioco di specchi, lo scrittore, il personaggio letterario e quello televisivo si confrontano nel tentativo di giungere alla soluzione del loro intricato rapporto.

Montalbano sente il peso degli anni, ricorda l’infanzia da orfano, è stufo di litigare con Livia che vuole andare in vacanza a Johannesburg o Rio. Appare incerto nell’indagare su Riccardino Lopresti, direttore di banca, e i suoi tre amici impiegati alla miniera di sale, tutti giovani stimati e devoti. Uno è nipote del vescovo, il quale cerca di accomodare le cose a suo piacimento. Montalbano non si arrabbia quando gli tolgono l’inchiesta, ma quando gliela ridanno. E a Fazio che annota: «Vossia non mi persuade, dottore. Mi pari cangiato», risponde: «Pari macari a mia». Discute direttamente con l’Autore, che a sua volta si toglie qualche sassolino dalle scarpe, si arrabbia quanto si sente involontario protagonista di tanto successo. E pirandellianamente si ribaltano i ruoli in scena: chi deve risolvere il giallo? Camilleri confessava di essere orgoglioso della trovata che segna la «scomparsa» di Montalbano. E ne aveva ragione.

 

 

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