Discriminazione al contrario? Assegno sociale no, si e poi no

La vicenda tra una famiglia bosniaca e l'Inps. Ora la Corte d'Appello ha dato la propria opinione
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Il concetto di discriminazione visto da due angolazioni differenti nello stesso caso. Quello finito sul tavolo del tribunale del lavoro di Brescia al quale si era rivolta una coppia di cittadini bosniaci residente in provincia. Contestavano il rigetto da parte dell’Inps della domanda di assegno sociale.

«Non vivono da dieci anni in Italia» , la motivazione del diniego da parte dell’Inps.  Una decisione bocciata però dai giudici bresciani di primo grado che definirono «discriminatorio» il rigetto, condannando l’Istituto Nazionale di Previdenza sociale al pagamento in favore della coppia di stranieri di quasi diecimila euro di arretrati.

Non si è fatto però attendere il contro ricorso. E i giudici della Corte d’appello sezione lavoro hanno ribaltato la sentenza e il concetto di discriminazione.  «Il requisito del soggiorno in via continuativa per almeno dieci anni è richiesto dalla legge per gli "aventi diritto" all’assegno sociale, senza distinzione alcuna e quindi anche per i cittadini italiani» ha scritto il presidente della Corte Antonio Matano che parla di una conseguenza «aberrante» che viene definita «una discriminazione al contrario».

«L’avente diritto cittadino italiano, privo del requisito in oggetto, - scrivono i giudici d’appello - non potrebbe conseguire l’assegno sociale, mentre l’avente diritto Ue residente in Italia anch’esso privo del medesimo requisito, potrebbe invece conseguire l’assegno tramite la disapplicazione della norma».

Per i giudici della Corte d’appello di Brescia, sezione Lavoro, si andrebbe incontro ad «una discriminazione a danno dei cittadini italiani» e per questo hanno dato ragione all’Inps, che non dovrà versare alcun assegno sociale alla coppia bosniaca.

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