Disagio e violenza giovanile, un connubio che preoccupa

Gli ultimi episodi che si sono verificati a Brescia restituiscono un quadro tutt’altro che rassicurante
RISSE E VIOLENZA: SPAVENTANO I MARANZA
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Vagano tra le strade delle città, si sfidano su TikTok e sempre più spesso si scontrano coi coetanei alla luce del sole. Sono giovani e giovanissimi, minorenni o da poco maggiorenni, si muovono in veri e propri branchi e danno vita a risse, violenze e rapine.

Nel gergo della Generazione Z li chiamano «maranza» - nome bizzarro che si sta diffondendo a macchia d’olio anche nell’uso comune. Spesso uniti dalle difficoltà e dal disagio, fanno del look il proprio tratto distintivo e aggregante nel gruppo. Oltre a vestire con abiti ostentatamente contraffatti, condividono la passione per la musica trap e non rinunciano a linguaggi volgari. Li riconosci da questo, nel loro peregrinare da una piazza a una stazione, da un parco a una fermata della metro. «Significa che ci vestiamo bene ma siamo poveri. I maranza sono quei ragazzi che sembrano eleganti» spiega in un video uno di loro, bresciano.

Ma dietro maglie, cinture e scarpe si nasconde la profonda difficoltà sociale di un’intera generazione, che proprio in questi anni sta esplodendo in una violenza senza limiti.

Le tensioni

Gli epicentri delle guerriglie giovanili de visu sembrano essere le grandi città italiane, Milano in primis. Ma l’ultimo weekend ad alta tensione nell’area della stazione ferroviaria ha confermato ancora una volta la recrudescenza del fenomeno anche a Brescia: prima, venerdì pomeriggio, la violenta rissa tra una trentina di ragazzi e altri coetanei (un diciottenne è stato anche accoltellato). Ventiquattro ore dopo una scena analoga tra due «squadriglie» e il ritrovamento di mazze da baseball e tirapugni da parte dei carabinieri, che hanno scongiurato la resa dei conti.

Spesso finiscono tutti sotto l’egida di baby gang, ma dietro i «maranza» violenti c’è una complessità tutta da indagare.

L’esperto

Giuseppe Maiolo, psicoanalista all’Università di Trento, parte proprio dall’utilizzo della parola, che non è un neologismo: «Il termine è stato recuperato dagli anni ’80, quando definiva il tipo rozzo e cafone che si vestiva in maniera eccentrica. Ma più che ridere, faceva pena. Ora i maranza sono quelli che vogliono mostrarsi e far parlare di sé. Si associano alle risse, alle violenze di strada e del branco o alla tipologia di bulletto 2.0 visto che si filma e si posta su TikTok».

Per Maiolo, però, l’utilizzo dei social per cristallizzare le violenze è solo un effetto collaterale: «Cerca una visibilità eccessiva ma non penso lo faccia per moda, come qualcuno sostiene. Credo che dietro il maranza non ci sia nemmeno l’originalità della provocazione o della trasgressività tipica degli adolescenti. C’è forse solo l’avvilimento del vuoto e un buco enorme di solitudine e di povertà relazionale».

La polemica etnica

E mentre l’opinione pubblica resta divisa tra chi lo ritiene un fenomeno sociale pericoloso e chi invece ne evidenzia le contraddizioni, a preoccupare c’è anche una polemica etnica: molti «maranza» sono italiani di seconda generazione di origine nordafricana (lo stesso termine deriverebbe da una storpiatura dialettale di «melanzana») e ciò ha ben presto favorito la proliferazione di pregiudizi razziali.

Di certo il malessere urbano è destinato a non arrestarsi, anche nel Bresciano. Perché è qui, alle porte della provincia, che si è materializzato lo spartiacque del fenomeno: era l’estate del 2022 e raduni di centinaia di giovani a Peschiera terrorizzarono interi convogli di pendolari

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