Dialetto e computer, dialogo un pìt binario

Al centro commerciale dove locale globale si incontrano ·
Computer e dialetto bresciano hanno parecchio in comune
Computer e dialetto bresciano hanno parecchio in comune
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«E mé adès che fói?». Ikea, venerdì pomeriggio. L’addetta al reparto cucine indossa la divisa gialla e blu che la catena utilizza identica in tutti i suoi negozi distribuiti nel mondo. Ma un borbottio appena accennato - che si concede tra sé e sé davanti al computer che non funziona - denuncia senza ombra di dubbio la sua radice bresciana. «E mé adès che fói?», e io ora che faccio, si chiede davanti alla cocciutaggine di cui a volte solo l’informatica è capace.

Dialetto e computer parlano due lingue lontanissime, anche dove alcuni suoni sembrano assomigliarsi. Pensate all’informatico «bit» e al bresciano «pit». Vicinissimi e lontanissimi. Per i programmatori il «bit» è l’unità di misura minima di una informazione, è l’atomo del sistema binario, è la capacità di un computer di ridurre ogni cosa alla sequenza matematica 0/1. Il «bit» vuol dire che tutto si può contare con precisione. Il bresciano pit invece vuol dire «un po’». Da dove arriva? Il Devoto ci ricorda ad esempio che l’italiano «piccino» ha radice dal latino «pisinnus» o «pitzinnus». Il pit è una piccola cosa, una piccola porzione.

«Vé ’ndré amó ’n pìt..» si dice a chi sta parcheggiando in retro «Zónteghen amó ’n pìt...» si dice a chi ti sta versando la polenta nel piatto. Il pit non è definibile con precisione: è l’allineamento a bolla del muratore capace, è l’aggiustamento dell’artigiano esperto, è il quanto basta del cuoco. Non è la quantità, è la qualità. Intanto l’addetta Ikea è riuscita a far funzionare il computer. Ce l’ha fatta con tentativi ed errori, un po’ alla volta. Il pit ha vinto sul «bit».

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