Delitto della Maddalena: un asso per Volonghi

Una testimonianza e una perizia rendono molto meno scontata una condanna per Andrea Volonghi
Teste e celle a favore di Volonghi
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Delitto della Maddalena. Da ieri la terza condanna, magari all’ergastolo come le precedenti, per l’omicidio dei due imprenditori macedoni trovati cadavere il 15 ottobre di quattro anni fa, non è scontata. 
 
Dalle maniche della toga dell’avvocato Gianfranco Abate, difensore di Andrea Volonghi, il 40enne che l’accusa considera l’esecutore materiale degli spari che hanno stroncato Ekrem Salija e Hristo Uzunov, sono spuntate due carte che potrebbero essere decisive. Si tratta di una testimonianza e di una perizia voluta dal presidente della Corte d’assise, Anna Di Martino.
 
La prima dice che la sera del 23 giugno di quell’anno l’uomo di Torbole Casaglia non poteva essere in Maddalena all’ora in cui i due imprenditori sono stati uccisi. Ad assicurarlo è stato Nicola Quocci, amico di Volonghi. «Eravamo in pizzeria alle Porte Franche di Rovato. Sono certo fosse il 23 giugno perché era esattamente una settimana dopo l’incidente che avevo avuto con la moto acquistata proprio da Volonghi» ha detto il teste sotto giuramento. 
 
La carta che potrebbe far saltare il banco dell’accusa è l’altra. Nel fascicolo del processo sono stati inseriti un sms e una telefonata partiti quella sera dal cellulare dell’ex carabiniere e arrivati su quello dell’ex buttafuori. Il primo è inviato da via Fratelli Folonari e aggancia alle 21.55 la cella di via Psaro, non distante dall’Itis. La seconda parte quattro minuti più tardi, ma fa molta più strada. Arriva a Rovato, dove Volonghi, ed il suo amico, dicono di essere stati.
 
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