Dalla Strage a Soffiantini, l'addio a Delfino

Il ricordo di Delfino nelle parole di Giuseppe Soffiantini e di Manlio Milani: «Si è portato nella tomba molti segreti di Piazza Loggia».
La morte del generale Delfino: una vita di ombre
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«È stato un personaggio discusso: quando l’ho conosciuto era un brillantissimo ufficiale dei carabinieri. Poi per eccesso di ambizione è andato contro i suoi valori», così l’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini ricorda l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, morto a Roma all’età di 77 anni.

Delfino fu condannato per truffa nei confronti della famiglia Soffiantini. In occasione del rapimento dell’imprenditore, avvenuto nel 1997, l’allora generale dei carabinieri intascò un miliardo di lire; soldi che la famiglia dell’imprenditore aveva dato a Delfino per pagare il riscatto chiesto dai rapitori.

«Mi sono sentito tradito - ricorda oggi Soffiantini - perché aveva tenuto per sé soldi che la mia famiglia aveva dato per salvarmi la vita. Va detto però che già prima del sequestro avevo perso la fiducia in Delfino e quando, dopo il rilascio, mi avevano detto dell’interessamento nei miei confronti del generale sapevo che non mi aveva aiutato e mai l’avrebbe fatto».

«Delfino si è portato nella tomba molti segreti della Strage di Piazza Loggia», ha invece detto Manlio Milani, presidente dell’associazione famigliari vittime della Strage. Delfino fu infatti coinvolto nell’ultimo processo, iniziato nel 2008, e assolto in Primo e Secondo grado.

«C’erano prove insufficienti - spiega Milani - ma un uomo delle istituzioni come lui è stato avrebbe dovuto avere sempre il dovere di sottoporsi alla dimensione pubblica. Lui invece si è avvalso della facoltà di non rispondere. Scelta legittima, ma in contrasto con quello che era stato il suo ruolo».

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