Dall'Adamello alle Ande: Solina, l'alpinista dell'impresa Eiger

Sessant’anni fa la «prima» italiana su una «montagna stregata»: tra i sei in cordata c’era anche il bresciano oggi quasi 90enne
  • Franco Solina. In montagna con la sua macchina fotografica
    Il grande alpinista e fotografo bresciano Franco Solina
  • In vetta. Franco Solina (ultimo a destra) dopo l’impresa sull’Eiger il 16 agosto 1962. Qui in basso, con Messner a Brescia
    Il grande alpinista e fotografo bresciano Franco Solina
  • Il grande alpinista e fotografo bresciano Franco Solina
    Il grande alpinista e fotografo bresciano Franco Solina
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Toc toc. Toc toc. Toc toc. Scarpone destro contro il sinistro e scarpone sinistro contro il destro per far staccare sassi e fango dal Vibram. Al quarto toc toc, Cinzio (Decarli), raffinato conoscitore di fiori e piante della montagna, con flemma butta lì: «Franco …» «Che gh’è Cinsio?» «Devo dirti una cosa…» «Dimm…» «Ti ringrazio per la solitudine». Sintesi di una giornata che i due amici avrebbero dovuto trascorrere insieme in Guglielmo, ma che invece ha visto Franco sempre avanti qualche centinaio di metri e Cinzio sempre dietro.

Franco (Solina) non l’aveva fatto né per indifferente egoismo, né per un complesso di superiorità: il fatto è che in montagna scorda di esser sdutto come un bambù al contrario di tutti i suoi amici con qualche chilo di troppo, che in salita (e in discesa) fanno la differenza. E poi Franco dalla montagna viene catturato, gira a destra, scende a sinistra, va avanti torna indietro spinto dalla curiosità di vedere come è fatta, richiamato dalla possibilità che nella sua Rollei possa esser fissato qualcosa di nuovo che rimarrà e che prima o poi tornerà buono, sempre mosso da una voglia di esplorare, vedere capire che contrasta con la testa nel sacco dei molti che salgono e scendono le montagne per i record, come fossero tutte uguali.

I primi 90 anni

Il 2022 per Franco è un anno importante: il 9 giugno compirà i suoi primi novant’anni (oggi il Museo della fotografia gli conferirà il premio alla carriera), mentre il 16 agosto ricorrerà il 60esimo anniversario della prima ripetizione italiana sulla nord dell’Eiger, due ragioni per le quali siamo andati a rileggerci la storia della vita di questo nostro concittadino, alpinista, fotografo, divulgatore e (consentitemelo) amico, parte di quel gruppo di bresciani che hanno contribuito a far ricca la tassonomia del territorio.

Attorno a Franco leggende - e verità - si sprecano: si dice che avesse iniziato ad arrampicare dalle parti del campanile della chiesa di Mompiano; viaggia con un limone portafortuna nello zaino; usava per proteggersi dalle scottature del sole la carta della mortadella fissandola alle gambe con l’elastico; lasciò Arturo Crescini, suo primo vero compagno di cordata, per un gesto di generosità dello stesso alpinista-naturalista bresciano che, in un rifugio dolomitico, alla domanda del grande alpinista roveretano Armando Aste se conoscesse qualcuno che avrebbe potuto unirsi a lui in cordata, rispose: «Eccolo, è lui» spezzando generosamente la coppia Crescini-Solina per dar vita alla Aste-Solina che in Dolomiti (e non solo) avrebbe aperto vie importanti (l’Ideale sulla Marmolada d’Ombretta: 54 ore di arrampicata e cinque bivacchi), spedizioni in Patagonia, la direttissima del Focobon, la via dell’Assunta al Piz Serauta, la via Città di Brescia alla Tosa, aggiungendo nel 1962 al proprio reçit d’ascension la prima ripetizione italiana della Nord dell’Eiger. E poi un tentativo all’Annapurna.

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Ieri e oggi

A Grindelwald Aste e Solina erano arrivati in treno, senza dir nulla a nessuno per paura che il primato della prima ripetizione potesse sfuggire. Aste dell’amico dirà «il compagno migliore della mia vita, quello che la Provvidenza ha voluto affidarmi, è Franco al quale voglio bene come a un fratello.» Oggi la Nord dell’Eiger viene salita in quattro ore, Aste e Solina rimasero in parete cinque giorni, ma i paragoni - oltre ad esser improponibili - non sono possibili: alimentazione (oggi barrette, ieri grana e lardo), abbigliamento (ieri la tonigobbi, oggi il goretex), corde d’arrampicata (canapa contro nylon), calzature e ramponi (acciaio contro alluminio) erano un’altra cosa: avventura contro tecnicismo, risparmi versus sponsor. Ed altri pesi da portare in quota. Niente allenamenti su misura, ma notti trascorse sul terrazzo della casa di via Cremona per acclimatarsi, l’avanti e indietro in Guglielmo anche due volte nello stesso pomeriggio, con un’occhiata - alla fine della prima discesa per rinforzare la forza di volontà - alle scarpette da ginnastica lasciate all’interno della macchina che rappresentavano benessere per le estremità. Dentro a questa vita una grande spiritualità, l’amore per la famiglia, la montagna salita solo per sé. Interprete anch’egli di quel dolce pensiero di Walter Bonatti che dice «chi più in alto sale più lontano vede, chi più lontano vede più a lungo sogna». Auguri Franco.

Oggi al Museo premio alla carriera

In occasione del conferimento, oggi alle 17, del premio alla carriera, il Museo Nazionale della Fotografia dedica fino al 6 marzo uno spazio a Franco Solina con la «Mostra nel cassetto»: otto scatti effettuati alle spettacolari cascate dell’Iguazù, sul confine fra Brasile e Argentina. Fotografo e conferenziere oltre che giornalista, Solina ha pubblicato varie guide dedicate alla montagna, molte con il Giornale di Brescia con il quale collabora dal 1972. Tra le più note (e richieste) «Settanta escursioni nelle valli bresciane» e «100 itinerari». Tra i libri fotografici ricordiamo «Le montagne di Franco Solina», «Adamello gran teatro», «Adamello montagna viva», «Guglielmo, il monte sul tetto» e «Montagna, paesaggio e materia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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