Dagli armadi ai cassoni gialli: che fine fanno i vestiti usati?

In Italia vengono raccolte ogni anno 100mila tonnelate di abiti usati. A Brescia i principali operatori del settore sono Cauto e Humana
DAGLI ARMADI AI CASSONI GIALLI
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La giacca che avete affidato al sacco di plastica nera nell’ultimo cambio armadio potrebbe finire sull’appendiabiti di un mercatino vintage, in un negozio di merce usata, su una bancarella in Africa o, se fosse messa male, in un’azienda che la trasformerà in uno straccio. Non sapete esattamente chi la userà, ma, dal momento in cui l’avete infilata assieme ad altri vestiti ormai inutilizzati in uno dei contenitori gialli collocati lungo le nostre strade, avete confidato nel fatto che potesse servire a fare del bene. 

Ogni anno in Italia vengono raccolte 100mila tonnellate di vestiti che valgono fino a 600 milioni di euro, come ha evidenziato nei mesi scorsi Altreconomia. A Brescia e provincia i principali protagonisti del settore sono la Cooperativa Cauto, che lavora in collaborazione con la Caritas, e Humana, organizzazione umanitaria attiva in progetti di cooperazione internazionale. Assieme raccolgono in un anno oltre due milioni di chili di materiale, il cui destino è molto variabile a seconda della filiera in cui vengono inseriti. 

Nel caso di Cauto il volume d’affari supera i 400mila euro annui per circa mille tonnellate di media. I cassonetti gialli gestiti dalla cooperativa sono più di 500 in 110 Comuni convenzionati e il lavoro di svuotamento dei cassoni, di trattamento e di gestione burocratica del materiale, classificato per legge come rifiuto, coinvolge una sessantina di persone. Circa il 60%-70% dei vestiti e degli accessori viene rivenduto direttamente ad aziende, come la Tesmapri di Prato, che trattano i vestiti e accessori e li rivendono in Italia e all’estero. La parte restante viene igienizzata (l’obbligo c’è solo in Italia) e rivenduta direttamente dalla Cauto: o a Spigolandia, in via Mantova, o ad altre cooperative che hanno mercatini simili. Soltanto il 3% di tutto il materiale viene trasformato in stracci da aziende terze, mentre il 12% più pregiato, detto «crema», alimenta in particolar modo il mercato del vintage.

«Il fatto che non controlliamo direttamente tutta la filiera non vuol dire che non ci preoccupiamo di dove finiscono i vestiti - spiega Michele Pasinetti, direttore di Cauto -. Le collaborazioni decennali che abbiamo avviato sono per noi una garanzia». I Comuni con cui Cauto è convenzionata, prosegue Pasinetti, «ricevono report sui quantitativi dei materiali raccolti, che vengono schedati in modo che siano tracciabili, per avere la certezza che non finiscano nel nulla». 

Dopo lo svuotamento dei cassoni gialli il materiale viene portato nella sede della cooperativa in via Buffalora. Qui c’è un piccolo polo dei rifiuti da riutilizzare, visto che oltre agli indumenti l’area è attrezzata per gestire tra le altre cose cibo, mobili, macchinari ospedalieri o semplice spazzatura. Il valore degli indumenti e degli accessori usati non è solo economico. Da un lato c’è la tutela dell’ambiente, con il recupero di materiale prezioso che concorre a determinare la percentuale di raccolta differenziata. Dall’altro c’è l’aspetto lavorativo, con l’inserimento in cooperativa di persone svantaggiate. I guadagni di Cauto, inoltre, sostengono «Mano Fraterna», progetto della Caritas che finanzia tra le altre cose microcredito, voucher per la spesa o realtà come la Mensa Menni. Da Brescia al mondo. 

L’altro colosso di cui vediamo abitualmente i cassoni gialli è Humana. Nella prima metà del 2015, l’organizzazione umanitaria ha già raccolto 685mila chili di indumenti negli ottanta Comuni con cui collabora direttamente e negli altri in cui è presente con contenitori posizionati su suolo privato. Humana spiega che oltre il 70% dei capi donati dai cittadini è usato come vestito e viene donato alle «associazioni consorelle» in Mozambico, Zambia e Malawi. Qui viene venduto, i proventi servono a sostenere progetti umanitari che riguardano istruzione, agricoltura sostenibile, aiuto ai bambini orfani, prevenzione della diffusione dell’Aids. I benefici si vedono anche in Italia, con i posti di lavoro creati per gestire la filiera e azioni sociali, coma la distribuzione di indumenti a donne in situazioni di disagio fatta nel 2014.

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