Da Omero al Ràssega: compositori di parole

Omero usava le parole come mattoncini di Lego. Anche il dialetto bresciano ha i suoi costruttori di neologismi
Il vecchio Omero sapeva perfettamente usare il suo greco arcaico come una scatola dei Lego - Foto di archivio
Il vecchio Omero sapeva perfettamente usare il suo greco arcaico come una scatola dei Lego - Foto di archivio
AA

Lo scaltro Ulisse era polytropos (multiverso, uomo dai molti viaggi ma anche dall’ingegno versatile), la delicata Aurora era rododàktyla (dalle dita di rosa), l’algida dea Atena era glaukòpis (dagli occhi azzurri).

Il vecchio Omero sapeva perfettamente usare il suo greco arcaico come una scatola dei Lego: prendeva i singoli mattoncini (le parole «semplici») e li abbinava per farne espressioni nuove. Termini che prima nel vocabolario non c’erano e che però funzionavano perfettamente, arricchendo la tavolozza luinguistica a sua disposizione.

Compositori di parole ne ha avuto da sempre anche il dialetto bresciano. Il Ràssega (ortolano bresciano classe 1858 divenuto figura quasi mitologica grazie alle rime di Angelo Canossi) racconta di quando viene svegliato da una pattuglia guardie di «sés o sèt strapabutù» (strappabottoni), che per l’appunto lo scuotono per la giacca.

Ma di esempi - di parole composte da cui esplode nuovo senso - ce n’è mille. Spesso di autore anonimo. Come màiamosche (mangia-mosche, era detto così un tizio che teneva costantemente la bocca semiaperta e questo non gli dava certo un’aria furbissima), streècabröt (rovescia-brodo, uno che fa guai), sparnègaminitìne (spargi-mentine, chi in modo un po’ goffo mette in giro roba di scarso valore). In opposizione tra loro troviamo poi le definizioni di chi, pur di non imbrattarsi, svicola volentieri (saltapùce, salta-pozzanghere) o di chi invece regolarmente cade nei tranelli (calcatràpole, pesta-trappole). Insomma, non proprio un omerico pièveloce.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia