Da Hogwarts a Lumezzane: l'erede di Harry Potter è bresciano

Nicolò Cerri è stato nominato cacciatore della nazionale di «Quidditch», lo sport inventato da J.K. Rowling
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Non ci sono scope magiche e nemmeno i boccini volanti. Ma il Quidditch si gioca anche tra i babbani.

E Nicolò Cerri, 19enne di Lumezzane, grande fan del maghetto non se n’è perso uno, appassionandosi non solo a quel mondo fantasy, ma soprattutto al Quidditch, il gioco più popolare della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, che maghetti e streghette facevano a cavalcioni di una scopa volante. Nei giorni scorsi Cerri, che milita nella «Bombarda Brixia», fondata con altri ragazzi (e ragazze) bresciani, è entrato nella nazionale «Italia Quidditch». Cerri ha partecipato ai campionati europei di Oslo, dove la nazionale si è piazzata all’ottavo posto su 15 squadre provenienti da tutta Europa. Il gioco, nato nel 2005, è un mix fra pallamano e beach volley, a cui aggiungere elementi di rugby e «lo scalpo» (per intenderci il vecchio gioco del fazzoletto).

La particolarità? Si gioca rigorosamente a cavalcioni di una scopa (oggi un prosaico bastone in pvc, chissà cosa direbbe il maghetto Harry...). Nicolò, che ha giocato per un decennio a basket, ha scoperto il quidditch nel 2015 grazie ad un amico di Bari e, come per i libri di Harry Potter, è stata subito passione. «Il quidditch è abbastanza complicato - spiega il giovane -. Si deve infatti giocare addirittura con 4 palloni: una pluffa, pallone sgonfiato con il quale si può segnare; poi ci sono i due bolidi, palloni da dodgeball, con i quali colpire gli avversari e eliminarli temporaneamente dal gioco. Infine, ma fondamentale, c’è il boccino appeso alla gamba del boccinatore, che i giocatori devono cercare di prendere».

La squadra che scende in campo è composta da 7 persone miste uomini e donne: anche questa è una regola fondamentale, perché non si possono schierare più di 4 componenti dello stesso sesso. I giocatori si dividono nei vari ruoli: portiere, cacciatori, battitori e cercatore. Lo sport non è ancora riconosciuto dal Coni, ma i 500 atleti italiani che lo praticano sperano accada presto. 

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