Crampi della memoria e gamberi nel piatto

Inizio confessando d’avere un interrogativo ma non una risposta: perché mai la parola gànf, che in tutta la provincia indica il crampo muscolare, sul Garda viene utilizzata anche per nominare i corsi d’acqua che dall’entroterra si gettano a lago?
Innanzitutto: si fa presto a dire «corso d’acqua». La parlata bresciana offre qui una tavolozza ricchissima. Si va da fiöm (che è il latino flumen e l’italiano fiume) a fòs (il fosso, l’alveo artificiale), dai bassaioli seriöla (qui la radice linguistica che indica la corrente è prelatina e la ritroviamo anche nel bergamasco fiume Serio o nella dalignese cascata dell’Acqua Seria) e dögàl (che nel richiamo dogale rende forse onore alla Serenissima) fino ai montanari rì / rè (dal latino rivus).
E l’acquatico lacustre gànf da dove se ne scende? Se ci concentriamo sul significato di gànf come «crampo» io trovo forti sintonie con il tedesco (e secondo alcuni anche longobardo) «krampf» che indica proprio il doloroso guaio muscolare. È invece parola bergamasca (e in parte camuna) il simile gàmf che invece indica il bàzol (o anche bàdol), il lungo bastone curvo con due ganci all’estremità usato per portare i secchi sulle spalle.
In alcuni dialettismi (in Toscana, ad esempio) il «crampo» è detto anche «granchio». E di piccoli crostacei (ma qui erano gamberetti nostrani) erano pieni anche i gànf che si gettano nel lago. Gamberetti oggi sostituiti da aggressivi gamberi americani. Come i delicatissimi crostacei dei nostri fossi, anche il dialetto diventa pian piano luogo della memoria. Ricordarcene non ce li riporterà nel piatto, ma forse ci aiuterà a capire cosa mangiamo oggi.
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