Coronavirus, i cinesi a Brescia: «Paura per le nostre famiglie»

La comunità locale non teme per gli affari, che comunque hanno subito un rallentamento, ma per i cari rimasti in patria
IL CORONAVIRUS E BRESCIA
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Mentre l’Italia dichiara lo stato di emergenza per sei mesi, affidando il coordinamento degli interventi di prevenzione al capo della protezione civile Borrelli, e sospende i voli da e per la Cina sino al prossimo 28 aprile, la comunità cinese locale vive con apprensione queste ore. Nessun timore per gli affari, sia chiaro, ma per i familiari restati in patria. E se da un lato l’associazione Hua Xia ha già raccolto oltre 13mila euro da inviare in Cina per sostenere la costruzione dei due nuovi ospedali, rinunciando al contempo alla festa per l’inizio dell’anno del topo, dall’altro c’è chi fa incetta delle ormai famigerate mascherine.

Certo è che se in Lombardia e a Brescia vengono esclusi casi di contagio, tuttavia, l’impatto del coronavirus si fa tangibile anche a decine di migliaia di chilometri dall’epicentro della pandemia. Il presidente della Regione Attilio Fontana e l'assessore al Welfare Giulio Gallera hanno invitato a prestare attenzione, ma anche a non farsi prendere dal panico.

L’altra faccia della medaglia è quella che riguarda la produzione industriale, che vede legate a doppio filo con il Paese della Grande Muraglia molte aziende bresciane. Già pesa lo stop decretato da Pechino all’attività degli stabilimenti di gran parte della Cina fino al 9 febbraio, con ferie per il Capodanno prolungate per limitare il contagio: diverse realtà bresciane, tra le venti province italiane con maggiori investimenti nel Paese dell’Estremo Oriente, da Gefran a La Leonessa, da Copan a Sabaf, devono fare i conti con la chiusura dei rispettivi siti produttivi cinesi per ragioni sanitarie.

Senza contare le ripercussioni per chi aveva in previsione viaggi d’affari verso il gigante dell’estremo oriente. Tutto rimandato. Ma la preoccupazione maggiore a Brescia come altrove è per le ripercussioni che i ritardi nell’approviggionamento di materie prime potrà avere il blocco produttivo: secondo i dati di UnionCamere, il cruccio riguarda sei aziende su dieci.

 

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