Come la trippa in scatola

I compromessi per resistere a questo tempo
Trippa - © www.giornaledibrescia.it
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Approfittando del clima ancora piacevolmente mite, mi sono dedicato con grande soddisfazione alla potatura delle mie amate ortensie. Questo è per me un appuntamento fisso che segna un po’ lo spartiacque tra i fasti della stagione calda e il meritato riposo di quella fredda. Taglia di qua, accorcia di là, prepara le fascine, portarle in discarica, fatto sta che dopo tante ore di lavoro mi è venuta fame. Nello specifico (complice probabilmente la frescura seguita all’imbrunire) mi è venuta voglia di trippa. Pur non rientrando per svariati ed evidenti motivi nello stereotipo della donna incinta con desideri inspiegabili, non mi sono stupito di quel piatto come soddisfazione del mio languore. Essendo io un giovane molto attempato avevo soltanto una strada da seguire per placare quella voglia, verificare che ci fosse trippa pronta nel freezer di mia mamma.

Aggiungo (sempre per uscire dagli stereotipi) che (ovviamente) la trippa della mia genitrice è straordinaria. Ma siccome la delusione è sempre dietro l’angolo, purtroppo la trippa in brodo era assente dalla cella frigorifera familiare. Mi sono quindi dovuto accontentare della versione in scatola della Simmenthal.

Quella trippa rappresenta al meglio la nostra vita attuale. È un po’ un vorrei ma non posso, il lontano ricordo dei sapori della tradizione male aggiornati. L’ho comunque mangiata con ingordigia e mi è rimasta pure sullo stomaco. Ora dovrei trarre una morale, ma questa implicherebbe per forza una nota di demerito per mia madre, ma poi chi la sopporta ai (ristretti e senza zie pizzi e merletti) pranzi natalizi?

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