Che fine fanno gli abiti che non usiamo più

Un milione di chili all’anno, una 60ina di addetti per un volume d’affari che supera i 400mila euro: i numeri della raccolta di abiti
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Un milione di chili all’anno, una sessantina di addetti per un volume d’affari che supera i 400mila euro. Sono i numeri della raccolta di abiti e accessori usati gestita dalla cooperativa Cauto in collaborazione con la Caritas.

 

 

Sono oltre 500 i contenitori gialli in più di 100 comuni bresciani, particolarmente pieni in questi giorni di cambio degli armadi.

Se circa il 70 per cento di quanto viene raccolto viene rivenduto a intermediari che collaborano da anni con la Cauto, come la Tesmapri di Prato, e viene distribuito in Italia o in tutto il mondo, la parte restante viene gestita direttamente dalla cooperativa, che si occupa di selezionare i capi o gli accessori, di igienizzarli e di rivenderli ad altre cooperative o direttamente a Brescia, attraverso Spigolandia, in via Mantova.

Il valore prodotto da questa attività non è solo economico, ma comprende anche il rispetto dell’ambiente, con il recupero di materiale prezioso, o le opportunità di lavoro che riguardano anche soggetti svantaggiati. I ricavi di Cauto, inoltre, sostengono il progetto Mano Fraterna, della Carits, che finanzia tra le altre cose microcredito, voucher per la spesa o realtà come la Mensa Menni.

 

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