Cento filosofi difendono vaccino e Green pass: il documento

La risposta di un folto gruppo di intellettuali alle prese di posizione di Massimo Cacciari e Giorgio Agamben
Un dispositivo per il controllo del Green pass - Foto Ansa/Alessandro Di Meo © www.giornaledibrescia.it
Un dispositivo per il controllo del Green pass - Foto Ansa/Alessandro Di Meo © www.giornaledibrescia.it
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La filosofia non è contro il Green pass. Parola di cento tra i più illustri pensatori italiani che hanno sottoscritto un documento per dissociarsi con forza dalle opinioni espresse da alcuni colleghi, e in particolare da Giorgio Agamben e da Massimo Cacciari, a giudizio dei quali il lasciapassare verde sarebbe «discriminatorio» e la campagna vaccinale una «sperimentazione di massa». Alle loro esternazioni risponde ora punto su punto e all’unisono questo folto gruppo di intellettuali.

Accanto a personalità come Mario De Caro o Roberta De Monticelli, per citarne qualcuno, troviamo anche Carlo Chiurco: esperto di Filosofia morale, vive a Brescia e insegna all’Università di Verona. «Agamben e Cacciari - osserva - usufruiscono di una sovraesposizione mediatica che amplifica enormemente le loro affermazioni». Proprio per questo «è importante prendere le distanze e fare chiarezza».

Innanzitutto, leggiamo nel testo, «sebbene la filosofia debba certamente assumere un ruolo critico relativamente alla scienza, questo ruolo critico non può mancare di rispettare i risultati scientifici riportandoli non correttamente. Per esempio è falso sostenere, come ha fatto Agamben nell’audizione di qualche giorno fa al Senato, che i vaccini anti-Covid-19 siano in una fase sperimentale; sono già stati abbondantemente testati». E peraltro, aggiunge Chiurco, se si esclude l’isolamento, rappresentano «l’unica arma che in questo momento abbiamo a disposizione contro la pandemia».

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In secondo luogo, prosegue il documento, «è improprio sostenere che ci troviamo in un’epoca in cui l’eccezionalità è diventata la regola al fine di esercitare da parte dello Stato un controllo sulla cittadinanza, sul modello di quanto fatto da forme di dispotismo come quello sovietico. Quella a cui siamo di fronte è un’emergenza sanitaria, che non ha nulla a che fare con altre forme di emergenza (per esempio la lotta al terrorismo) e richiede una serie di procedure che sempre sono state adottate in questi casi a tutela degli interessi della comunità (si pensi alla vaccinazione di massa svolta ai tempi del colera - 1973! - a Napoli)».

Per terzo, con l’introduzione del passaporto vaccinale «non è stata introdotta alcuna discriminazione tra i cittadini»: addirittura «Agamben ha impropriamente e offensivamente paragonato l’adozione del Green pass all’istituzione delle leggi razziali contro la popolazione di origine ebraica nel 1938. Tale adozione non induce nessuna discriminazione tra classi di cittadini, avendo come suo scopo semplicemente la protezione della società nel suo complesso mediante la riduzione della possibilità di contagio. Sostenere il contrario sarebbe come sostenere che l’istituzione della patente di guida, fatta per limitare il più possibile il numero e l’entità degli incidenti stradali, determini una distinzione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B».

Quarto e ultimo punto: «L’istituzione del Green pass non costituisce nessuna repressione della libertà individuale, essendo una condizione arcinota nelle comunità sociali che la libertà di una persona finisce quando va a ledere la libertà di un’altra o le reca danno». Chiurco rimarca poi con forza l’aspetto etico della questione: «La libertà comporta una assunzione di responsabilità nei confronti degli altri. Essere liberi significa preoccuparsi di quali conseguenze possano avere le nostre azioni».

Lo ha sostenuto persino John Stuart Mill, padre del liberalismo: «L’umanità è giustificata individualmente o collettivamente a interferire sulla libertà d’azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi. Il solo scopo per cui si può esercitare un potere su qualunque membro di una comunità contro la sua volontà è per evitare danno agli altri». Una riflessione merita infine il ruolo pubblico dell’intellettuale: «Comporta onori e, naturalmente, grandi responsabilità». Perché le parole hanno delle conseguenze. Addirittura possono uccidere, proprio come il virus.

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