Cassazione: no a pregiudizi per figli a coppie gay

Respinto il ricorso del padre del bambino affidato alla madre che vive con la compagna.
AA

«Un minore può crescere in modo equilibrato anche in una famiglia gay». Né vi sono «certezze scientifiche o dati di esperienza» che provino il contrario. È il principio messo nero su bianco dalla prima sezione civile della Cassazione con una sentenza che nel respingere il ricorso di un immigrato mussulmano ha dato il via libera all’affido di un bambino a una coppia formata da due donne. Stabilendo così che «il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» dà «per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto famigliare».

Questa in sintesi la sentenza. Che farà discutere. La prima reazione è stata quella del mondo cattolico: «Non si può costruire una civiltà attraverso le sentenze dei Tribunali», è commento di sconcerto di monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente della Commissione Cei per il Laicato, che invita a considerare «i tanti studi fatti finora sulla famiglia».

La decisione della Cassazione arriva dopo che l’uomo, residente a Brescia, si era rivolto ai Supremi Giudici per contestare la decisione con la quale la Corte d’Appello bresciana, il 26 luglio 2011, aveva affidato in via esclusiva il figlio minore, naturale, che lui aveva avuto dalla sua ex compagna, alla donna. Attualmente vive con una assistente sociale della comunità per tossicodipendenti in cui, anni prima, era andata a disintossicarsi. Secondo lui era dannoso che il minore fosse educato in un contesto omosessuale. Ma la Suprema Corte gli ha fatto presente che era stato proprio lui, con la sua condotta violenta nei confronti della compagna della sua ex, ad aver provocato una reazione di turbamento nel minore dal quale, per di più, si era allontanato quando il bimbo aveva appena 10 mesi «sottraendosi anche agli incontri protetti ed assumendo, quindi, un comportamento non improntato a volontà di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la stessa richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino».
 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia