Caso Sana, l'intervista all'Ansa del direttore Nunzia Vallini

«Ci hanno aiutato la credibilità conquistata negli anni e il coraggio della denuncia delle nostre fonti», commenta Nunzia Vallini
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«Questa notizia è nata da una fonte confidenziale confermata da verifiche incrociate. Con la complessità delle distanze, della lingua, dei timori, comprensibili, per le conseguenze che una notizia di questa portata può scatenare». 

Così il direttore del Giornale di Brescia, Nunzia Vallini, ricostruisce in un’intervista all’Ansa la vicenda della morte di Sana Cheema, che il nostro quotidiano ha riferito sull'edizione di sabato scorso. 

«Ci ha aiutato la credibilità conquistata negli anni. E la fiducia verso la nostra testata anche da parte dei "nuovi bresciani". Ci ha aiutato il coraggio della denuncia delle nostre fonti - ha aggiunto -, che rischiavano e che rischiano grosso». 

Nel momento in cui la morte della giovane nata in Pakistan, cresciuta a Brescia e cittadina italiana, è diventato caso nazionale, dal paese di origine però è stato spiegato che si era trattato di un decesso per cause naturali

«È stata la conferma alle voci che avevamo raccolto sin dall'inizio. La conferma seppur indiretta che eravamo nel giusto», dice Nunzia Vallini. 

«Chi si è rivolto a noi, e chi abbiamo sentito anche in seguito, ci chiedeva appunto di fare in modo che la verità venisse alla luce. È chiaro che la fine a questa vicenda deve essere ancora scritta. Ma è altrettanto chiaro che non si può morire per infarto, dopo un ricovero per un calo di pressione, come ci volevano far credere». 

Come ha vissuto la vicenda la comunità pakistana di Brescia? «L'ha vissuta e la vive male. Come tutti noi. È una tragedia della subcultura. Ma credo ci sia anche un altro aspetto, il timore dell'onda di ritorno di una notizia di questo genere, la paura di un giudizio collettivo sommario, di un acutizzarsi delle distanze invece che apprezzare le convergenze», è il pensiero di Nunzia Vallini. 

«Chi ha denunciato, chi ci ha aiutato a ricostruire i frammenti di verità che compongono un quadro davvero complesso, sono tutti di origine pakistana e buona integrazione: non riconoscerlo sarebbe ingiusto e premierebbe chi, ancora oggi, sostiene che si debba lavare con il sangue l'affronto d'onore». 

«Resta un'amarezza di fondo, un'ingiustizia nell'ingiustizia: Sana è cittadina italiana. Perché nessuno, in Italia, si occupa di lei?», si domanda il direttore del Giornale di Brescia. «Per paradosso, seppur tardivamente, è la giustizia pakistana che sta facendo il suo corso dopo aver corretto il tiro. Per assurdo la fine di Sana per l'Italia è una questione pakistana, mentre per il Pakistan è una questione italiana e sembrano più preoccupati loro dei rapporti internazionali di quanto dimostriamo di esserlo noi», ha concluso.

 

 

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