Caro maestro, le scrivo per il Nobel

Una nuova riflessione di Augusta Amolini sul senso dell'insegnamento e sul miracolo secolare che si compie in classe
Bambini in classe - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Albert Camus è stato molto più di un semplice scrittore, seppure molti mettono in relazione il suo nome solo con il libro «La peste». Povero, di origine algerina, rimasto precocemente orfano di padre non ebbe una vita facile.

Quando giovanissimo nel 1957 ottenne il premio Nobel per la letteratura, compì un atto che merita ancora oggi di essere raccontato. Egli volle condividere la sua gioia e lo stupore per quel riconoscimento inaspettato con il suo maestro Louis Germain, a cui inviò una lettera, nella quale scrisse: «Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande, che non ho cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei».

Camus con queste parole diede corpo ad una autentica manifestazione di umiltà e di gratitudine attestando la sua grandezza di uomo oltre che di letterato. Egli non aveva dimenticato la sua fanciullezza di miseria, dove il maestro era stato una guida e un prezioso riferimento. Era stato la stella polare che gli aveva indicato il nord del suo riscatto umano, la liberazione da una condizione di indigenza alla quale si contrapponevano solo la sua propensione allo studio e la forte determinazione.

Tutti noi abbiamo avuto dei capisaldi nella vita che hanno segnato come pietre miliari il nostro percorso personale. Lo sono stati anche i nostri maestri della scuola elementare, seppure spesso venga trascurato il loro ruolo fondante di formatori di Uomini, di caratteri e della coscienza civile. A volte vengono ricordati con la tenerezza con la quale si guardano le fotografie della gioventù, sentendo un sottile rimpianto solo per se stessi.

Eppure ogni maestro/a dentro la sua aula compie con ogni bambino il miracolo secolare dell’insegnamento dell’alfabeto, fornendo gli strumenti essenziali per accedere alla conoscenza e alla libertà. Il sapere ottiene come contropartita pochissimo riconoscimento, il lavoro degli insegnanti, mal pagato e poco valorizzato è l’immagine di una società strabica che affida la scienza ai computer e disperde lo scibile umano. La cultura intesa come trasmissione di valori, contrariamente all’albero che cade, non fa rumore: essa è silenziosa come una foresta che cresce. Camus mori a soli 46 anni, i suoi scritti e il suo gesto riconoscente per quanto aveva ricevuto hanno fatto talmente rumore che ancora oggi ne possiamo sentire l’eco.

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