Caffaro, stabilimento a rischio chiusura
Preoccupazione tra i 59 lavoratori. Lo stop alla produzione mette a rischio il drenaggio dell'acqua di falda per limitare l'uscita di Pcb
Caffaro, lavoro e ambiente a rischio
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Lavoro. Ambiente. Due temi che solitamente danno il titolo ai capitoli dei programmi elettorali e che ora si intrecciano in via Milano, per l’esattezza in via Nullo, dove ha sede la Caffaro. In un incontro con i sindacati, l’azienda ha annunciato ad inizio settimana l’intenzione di spostare la produzione di clorito di sodio, l’unica rimasta, nello stabilimento di Torviscosa, in Friuli. Per ora è un progetto che la Società Chimica Emilio Fedeli Spa sta valutando, ma se venisse avviato il trasferimento potrebbe avvenire già nei prossimi mesi.
L’ipotesi ha sollevato la preoccupazione tra i 59 lavoratori che ancora varcano i cancelli della Caffaro, ma c’è di più. Perché sul fronte ambientale lo stop alla produzione mette a rischio l’attività di drenaggio dell’acqua dei pozzi interni all’azienda, il procedimento attraverso cui viene limitata, ma non eliminata del tutto, l’immissione di ulteriore Pcb nell’ambiente. La falda viene tenuta bassa in modo che non entri in contatto con il terreno inzuppato di veleni e l’acqua pompata, in cui sono comunque presenti inquinanti, viene depurata prima che raggiunga rogge e fiumi. Ad inizio anno Marco Cappelletto, commissario straordinario della Snia, titolare dell’area, aveva annunciato che i soldi per l’emungimento e il filtraggio di 10 milioni di metri cubi d’acqua all’anno erano finiti. A quel punto è stata la stessa Chimica Fedeli, subentrata nella Caffaro due anni fa, a garantire il pagamento della messa in sicurezza (purtroppo comunque parziale) della falda. Per un costo, comunica l’azienda, di 700mila euro.
Se il sito produttivo di via Milano venisse abbandonato, l’operazione sarebbe messa a rischio. La domanda, come per le bonifiche, è sempre la stessa: chi metterà i soldi?
Così, mentre i sindacati si concentrano sulla questione lavorativa e occupazionale, la Loggia vede complicarsi ulteriormente un caso ambientale già spinoso. Martedì 2 luglio è in programma un incontro tra il sindaco Emilio Del Bono, l’assessore all’Ambiente Gigi Fondra e i vertici dell’azienda.
«Il problema sono i costi dell’energia - spiega Donato Todisco, leader del gruppo Fedeli -. Nell’ultimo anno e mezzo è rincarata del 40% e incide per il 50% sui costi di produzione». Le 20mila tonnellate di clorito prodotte a Brescia valgono 18 milioni di euro all’anno. Il fatto è che c’è un solo cliente: la multinazionale americana DuPont. «Ci hanno dato un aut aut perché vengano abbassati i prezzi», aggiunge Todisco, ma con i prezzi dell’energia che continuano ad aumentare e gli interventi governativi per contenerli che restano congelati, al momento non ci sono margini di manovra. Spostare la produzione a Torviscosa sarebbe conveniente perché lo stabilimento ha un’autonomia energetica. Già lo scorso anno Todisco raccontava di essersi rivolto al Comune per un aiuto, anche attraverso A2A. Le richieste non diedero però risultati e le questioni si ripresentano adesso con ancora più forza. Lavoro, con 59 addetti che temono per il loro futuro. Ambiente, con una bomba ecologica molto lontana dall’essere disinnescata.
L’ipotesi ha sollevato la preoccupazione tra i 59 lavoratori che ancora varcano i cancelli della Caffaro, ma c’è di più. Perché sul fronte ambientale lo stop alla produzione mette a rischio l’attività di drenaggio dell’acqua dei pozzi interni all’azienda, il procedimento attraverso cui viene limitata, ma non eliminata del tutto, l’immissione di ulteriore Pcb nell’ambiente. La falda viene tenuta bassa in modo che non entri in contatto con il terreno inzuppato di veleni e l’acqua pompata, in cui sono comunque presenti inquinanti, viene depurata prima che raggiunga rogge e fiumi. Ad inizio anno Marco Cappelletto, commissario straordinario della Snia, titolare dell’area, aveva annunciato che i soldi per l’emungimento e il filtraggio di 10 milioni di metri cubi d’acqua all’anno erano finiti. A quel punto è stata la stessa Chimica Fedeli, subentrata nella Caffaro due anni fa, a garantire il pagamento della messa in sicurezza (purtroppo comunque parziale) della falda. Per un costo, comunica l’azienda, di 700mila euro.
Se il sito produttivo di via Milano venisse abbandonato, l’operazione sarebbe messa a rischio. La domanda, come per le bonifiche, è sempre la stessa: chi metterà i soldi?
Così, mentre i sindacati si concentrano sulla questione lavorativa e occupazionale, la Loggia vede complicarsi ulteriormente un caso ambientale già spinoso. Martedì 2 luglio è in programma un incontro tra il sindaco Emilio Del Bono, l’assessore all’Ambiente Gigi Fondra e i vertici dell’azienda.
«Il problema sono i costi dell’energia - spiega Donato Todisco, leader del gruppo Fedeli -. Nell’ultimo anno e mezzo è rincarata del 40% e incide per il 50% sui costi di produzione». Le 20mila tonnellate di clorito prodotte a Brescia valgono 18 milioni di euro all’anno. Il fatto è che c’è un solo cliente: la multinazionale americana DuPont. «Ci hanno dato un aut aut perché vengano abbassati i prezzi», aggiunge Todisco, ma con i prezzi dell’energia che continuano ad aumentare e gli interventi governativi per contenerli che restano congelati, al momento non ci sono margini di manovra. Spostare la produzione a Torviscosa sarebbe conveniente perché lo stabilimento ha un’autonomia energetica. Già lo scorso anno Todisco raccontava di essersi rivolto al Comune per un aiuto, anche attraverso A2A. Le richieste non diedero però risultati e le questioni si ripresentano adesso con ancora più forza. Lavoro, con 59 addetti che temono per il loro futuro. Ambiente, con una bomba ecologica molto lontana dall’essere disinnescata.
Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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