Bellocchio: «Chiedo perdono alla famiglia di Calabresi»

Il regista, ospite ieri sera a Castenedolo con la vedova del commissario, annuncia un progetto sulla vicenda
Sul palco tra gli ospiti anche il vescovo Pierantonio Tremolada - Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
Sul palco tra gli ospiti anche il vescovo Pierantonio Tremolada - Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Un capitolo nero della storia dell’Italia si arricchisce di nuove pagine, questa volta di riconciliazione, cinquant’anni dopo l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972. Quell’atto terroristico fu messo a segno da esponenti di Lotta Continua, un anno dopo l’appello che L’Espresso pubblicò contro Calabresi, definito il «commissario torturatore», ritenuto il responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, morto nel 1969 cadendo dalla finestra della Questura di Milano.

Tra le ottocento firme del mondo culturale di sinistra dell’epoca che aderirono all’appello c’era anche quella del regista Marco Bellocchio. Che 50 anni dopo si pente.

«Atto sbagliato»

«Chiedo scusa. Chiedo perdono alla famiglia Calabresi. Quella firma fu un atto superficiale, anche sbagliato, figlio di un pensiero di gruppo dove c’era ed era d’odio. Sottovalutai il peso di quella firma e mi sento in parte responsabile di quanto accaduto a Calabresi pur ovviamente non avendo partecipato meterialmente al delitto» ha spiegato Bellocchio.

Lo ha detto sedendo a fianco della vedova Calabresi, che ieri sera nella cornice della rassegna culturale Castenedolo Incontra ha presentato il suo libro «La crepa e la luce», storia del dramma personale e pubblico vissuto come donna, rimasta vedova a 25 anni con due figli piccoli e un terzo in grembo. «Io ho perdonato chi ha ammazzato Luigi - ha raccontato Gemma Calabresi Milite -. A fatica, dopo un percorso fatto di passi avanti e altri indietro. Sono passata dal volerli uccidere al perdonarli. E l’ho fatto non a parole ma con il cuore, e non li ho più nemmeno chiamati assassini. Bellocchio e l’appello? Non mi fa male ricevere le scuse. Quella campagna fu devastante. Bisognava informarsi prima di giudicare perché tanti urlavano, ma pochi pensavano».

E le scuse sono arrivate nel corso di una serata da tutto esaurito nella sala Disciplini e alla presenza di una testimone d’eccezione, la ministra della Giustizia Marta Cartabia. «Il libro mi ha emozionato e fatto riflettere - ha aggiunto Bellocchio -. Le scuse forse non bastano, vorrei andare oltre. Vorrei fare un progetto cinematografico sull’intera vicenda Calabresi» ha annunciato il regista.

«Le parole di Bellocchio mi hanno scaldato il cuore. Il mio percorso di perdono e fede l’ho fatto dopo aver ottenuto giustizia, che è fondamentale» ha spiegato Gemma Calabresi rivolgendosi alla ministra. Che ha svelato come «rileggendo il libro ho fatto due considerazioni: la storia della famiglia Calabresi mi fa compagnia dal primo giorno in cui sono diventata ministra e mi aiuta a ricoprire il mio ruolo. Tanto più cresce la consapevolezza della necessità di garantire giustizia - ha aggiunto Cartabia -, tanto più aumenta in me una consapevolezza bruciante che non basta. Storie come quella della famiglia Calabresi o delle famiglie delle vittime della Strage di Piazza Loggia mi fanno dire che bisogna colmare quella mancanza, quel vuoto che resta dopo un processo che ovviamente deve funzionare bene e più tempestivamente».

Il riferimento è alla giustizia riparativa: «La vicenda Calabresi è l’esempio vero di giustizia riparativa - conclude la ministra -. Ed è stato un progetto riuscito anni prima che un ministro e il parlamento lo mettessero nero su bianco».

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