Bazoli su Paolo VI: «Uomo della Provvidenza: fu un innovatore prudente»

«Non chiedere al Signore quali disegni Egli faccia sopra di te». Il 30 maggio 1920, nella basilica delle Grazie, don Giovanni Battista Montini celebrava la sua prima messa. Anni prima, all’alba della sua vocazione, si era confrontato con il padre Giorgio, confidando le esitazioni di fronte a una scelta così totalizzante per la sua vita. Il padre gli suggerì di parlarne con Luigi Bazoli, caro amico di famiglia. Che il 26 maggio 1920 così rispondeva all’invito di don Battista a partecipare alla sua prima celebrazione: «Mio caro Battista, mi vuoi testimonio dell’ora grande della tua vita e mi chiedi, nella solenne vigilia, il concorso della mia preghiera. Assisterò alla tua prima messa con tenerezza reverente molto somigliante a quella dalla quale sarà occupata l’anima della tua famiglia. Il mio affetto è così profondo che posso prendere pure una parte viva delle tue ansie. È vero, la grazia della vocazione sacerdotale è la più grande delle grazie divine; io sento che si debba tremare nel momento in cui si sta per riceverne la pienezza. Non chiedere al Signore quali disegni Egli faccia sopra di te: operosità o pazienza, fatica di contrasti o stanchezza di riposi non desiderati. Diligenti Deum, omina cooperantur in bonum. Abbandonati alla sua volontà con la divina certezza che il tuo olocausto gli è gradito e che Egli saprà farlo fruttare, qualunque esso sia, a benedizione tua e del prossimo».
La profetica lettera inedita mi viene letta dal nipote dell’avvocato Luigi, il professor Giovanni Bazoli. «Mio nonno Luigi e Giorgio Montini erano colleghi e molto amici. Entrambi appartenevano al gruppo straordinario di laici e consacrati i fede che forgiarono la Brescia cattolica del primo Novecento. Mio nonno, nonostante fosse della generazione precedente, aveva rapporto speciale con don Battista. Nei miei numerosi incontri con Montini, anche da pontefice, mio nonno è sempre stato ricordato da lui con grande affetto, quasi con venerazione».
Il 3 giugno 1963 moriva Giovanni XXIII. Il 19 giugno venne convocato il conclave che, due giorni dopo, avrebbe eletto Paolo VI successore di Pietro. «Qualche giorno prima l’ancora cardinale Montini venne a Brescia, a Bovezzo, per incontrare il fratello Francesco - racconta Bazoli -. Fu l’ultima volta che il pontefice tornò in terra bresciana. Il suo ruolo di pastore della Chiesa universale lo tenne a Roma anche quando, nel 1971, quel suo amato fratello minore morì». Quell’incontro familiare del giugno 1963 si svolse in quella che può definirsi la fase finale della «prima vita» di Montini, prima dello spartiacque del pontificato. Tutti in cuor loro immaginavano quello che da lì a pochi giorni, appunto, accadde, ma nessuno lo diceva in modo esplicito. Tutti tranne padre Giulio Bevilacqua, il padre filippino, grande figura intellettuale e spirituale, al quale il giovane Montini era profondamente legato, per lui era quasi un padre spirituale. Bevilacqua aveva sempre dato del tu a Giovanni Battista, dal canto suo Montini aveva sempre usato il lei. «Padre Bevilacqua, nel vedere il futuro Paolo VI, lo salutò passando al più deferente lei - racconta l’avvocato Bazoli -; era chiarissimo il riferimento a quanto si dava per certo. Il cardinale Montini, di fronte a quell’accoglienza, gli replicò: “Caro padre, non se ne parla neanche, deve continuare a darmi del tu”. E se da un lato padre Bevilacqua aveva ampiamente previsto l’esito del conclave, quello che invece non poteva nemmeno sospettare è che il suo discepolo Paolo VI qualche anno dopo lo avrebbe creato cardinale».
Questo episodio è stato raccontato a Bazoli dall’amico dottor Paolo Mombelloni, a lui fu riferito direttamente da padre Bevilacqua.
Lei ha quindi conosciuto Montini personalmente. Quali sono i suoi ricordi più significativi?
Molte erano le occasioni familiari. Per esempio durante le feste natalizie, a Santo Stefano (mio papà si chiamava Stefano) andavamo sempre a casa Montini. Poi l’ho incontrato più volte mentre frequentavo l’università a Roma (e dove mio padre era parlamentare). Fui anche ammesso a una cena importante nell’appartamento in Vaticano che lui aveva come Sostituto alla Segreteria di Stato. Un’altra sera, per una cena a casa di un amico avvocato, lo andai a prendere in auto e poi lo riportai al portone di bronzo del Palazzo Apostolico. Altri ricordi riguardano il periodo in cui era arcivescovo di Milano. Poiché avevo costituito l’associazione degli assistenti universitari della Cattolica, lui mi convocò per un mio parere sul nuovo rettore. La scelta sarebbe poi ricaduta su Giuseppe Lazzati. Il giorno dell’incontro, per un grave contrattempo, arrivai in ritardo di venti minuti; ancora oggi conservo memoria del grande disagio in cui mi trovai. Il segretario mi accolse freddamente dicendomi che a quel punto l’appuntamento era annullato. Ma il cardinale Montini mi vide e si avvicinò confermando invece l’incontro con la massima cordialità.
Vi siete incontrati anche dopo la sua elezione?
Nel 1966, durante il mio viaggio di nozze, ricevette me e mia moglie in udienza privata, un privilegio che non mi sarei mai permesso di chiedere. Fu il fratello Lodovico che ci portò dal pontefice. In tale occasione ricordò mia mamma Beatrice morta quando avevo pochi mesi; le dedicò parole dolcissime che colpirono profondamente anche mia moglie Elena. Paolo VI, negli incontri, conquistava tutti per la sua delicatezza e sensibilità d’animo. In pubblico non era a suo agio, appariva quasi distaccato, ma in privato affascinava per la sua umanità. Una sera eravamo a cena a Castel Gandolfo, al termine rimanemmo io e Lodovico. Osservandolo mentre si allontanava in quei lunghi, bui corridoi mi disse: «Povero fratello mio, che fardello di responsabilità». Era l’estate del 1968, alla vigilia della pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae...
Il 21 giugno 1963 i cardinali lo scelsero come sommo pontefice, come fu vissuta l’elezione a Brescia? Fu una sorpresa?
Come ho già detto l’elezione per noi era scontata. Nessuno come lui conosceva perfettamente la Chiesa e quindi ai più lui appariva come l’uomo più adatto per quello straordinario ruolo. Non dimentichiamo che già nel conclave precedente, in cui era stato eletto Roncalli, c’era qualcuno che aveva fatto il nome di Montini, il quale, allora, non era però cardinale e, quindi, non era eleggibile al Soglio di Pietro. Quando Montini andò a baciare l’anello di Giovanni XXIII, dopo la sua elezione, Roncalli gli disse: se lei fosse stato cardinale ora sarei io a baciare il suo anello. Del resto proprio papa Roncalli gli diede la berretta cardinalizia e lo coinvolse nella prima fase del Concilio Vaticano II.
È vero che il cardinale Montini era sorpreso, addirittura perplesso, per l’annuncio del Concilio?
Ci sono più testimonianze che lo confermano. Ma attenzione non si deve equivocare.
Lui condivideva la necessità di un rinnovamento nella Chiesa. La sua acuta lungimiranza gli consentiva però di vedere anche i rischi che ne sarebbero derivati. Si racconta che papa Roncalli gli fece arrivare il messaggio di non avere paura, il Concilio sarebbe stato un evento provvidenziale.
Giovanni XXIII però lo aveva definito il nostro Amleto, come lo spiega?
Non so se questo sia vero, ma certamente quella sarebbe stata una definizione affettuosa, per sottolinearne la grande intelligenza riflessiva. In ogni caso aver portato a termine il Concilio è stato un merito straordinario.
Papa Montini avrebbe avuto il coraggio di fare il Concilio?
È una domanda fondata, sono convinto che servisse la determinazione ispirata di Roncalli. Non parliamo però di mancanza di coraggio di Paolo VI, ma di una prudenza figlia del rispetto totale per la storia della Chiesa; per lo scrupolo, direi quasi l’umiltà, con cui riteneva di interpretare il proprio ruolo.
Paolo VI non fu un uomo indeciso, esitante. Tutto questo è profondamente falso, era semmai una persona che rifletteva profondamente e accuratamente prima di prendere una decisione, che doveva sempre essere la migliore.
Paolo VI è stato un papa innovatore?
Fu un innovatore prudente. Fu eletto dai cardinali innovatori e non fu votato dai conservatori. Certo, diventato papa, alla prudenza suggerita dalla sua intelligenza, si è aggiunto un fortissimo senso di responsabilità.
Questa prudenza può essere considerata un limite del suo pontificato?
Non ha senso parlare di limiti. Ogni pontefice porta alla Chiesa il contributo che è frutto della sua storia, della sua personalità. Anche a chi crede nella Provvidenza non risulta facile coglierne i segni negli eventi storici umani; ma vedendo la sequela dei papi, da Roncalli in poi, ognuno con la sua impronta, mi pare evidente la possibilità di leggere un disegno provvidenziale. Il contributo dato da Paolo VI è stato di un livello straordinario, come riconosciuto da tutti i suoi successori.
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