Bèl fés o bröt htàgn? Un avverbio dice chi sei

I colori di un termine che ci marchia a fuoco e che permette di riconoscere una comitiva di bresciani anche all'estero
Panorama di Brescia, vista del Duomo e del Castello - © www.giornaledibrescia.it
Panorama di Brescia, vista del Duomo e del Castello - © www.giornaledibrescia.it
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«Bello fés!». Puoi essere all’ombra della Tour Eiffel, all’imbocco del London Bridge o davanti alla Brandenburger Tor, ma se senti uno sciame di adolescenti in gita scolastica che urla «bello fés», non importa quanti colori mostrano i loro volti: tu sai che sono dei nostri.

Quel fés marchia a fuoco la parlata dei bresciani di quella fetta di provincia che fa perno sulla città e abbraccia a ventaglio tutta la Bassa. Fés è un avverbio che significa molto ed è tra le espressioni dialettali che meglio resistono allo scorrere delle generazioni. Da dove deriva fés, chiede a Dialèktika il nostro Silvano da Brescia?

Il Melzani nel suo «Vocabolario di dialetto di Bagolino» indica la radice nell’avverbio latino fixe che significa «in modo fisso, solidamente» e che funziona come rafforzativo. Ma la strada che questa parola ha percorso dal latino fino a noi sembra molto lunga, come racconta il bel saggio di Vittorio Nichilo - docente e abile sfrucugliatore di cose nostrane - sull’ultimo numero della rivista on line dell’associazione di bibliofili Misinta. Nei secoli il termine sarebbe entrato in Lombardia assieme agli immigrati dall’Engadina.

Non tutti i bresciani però dicono fés. A Lumezzane - orgogliosi e singolari - come rafforzativo usano l’aggettivo stàgn (stagno, solido) con la tipica esse aspirata (l’è bröt htàgn). Di nicchia linguistica in nicchia linguistica si arriva al gaì, il gergo dei pastori: per dire di una cosa che l’è bröta fés dicono l’è òfa brendòs. Ma il gaì non è un dialetto, è un gergo: si usa come codice fra membri del clan per non farsi capire dagli estranei. Men che meno all’ombra della Tour Eiffel.

 

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