Anja: salvata dalla guerra, restituisce vita ai malati di ebola

Trentenne, ingegnere di origine bosniaca, Anja Borojevic è operatrice di Medici Senza Frontiere
Anja Borojevic sul campo
Anja Borojevic sul campo
AA

Ad incuriosirla è stato il pensiero che migliaia e migliaia di persone percorressero a piedi il Paese in cui lei è nata, per cercare una salvezza in Europa. Carovane di migranti, provenienti dalla lacerata Siria, in marcia per la via dei Balcani, la sua terra. La stessa che lei, Anja Borojevic, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, ad appena cinque anni, ha dovuto lasciare quando si era fatto sempre più pressante il boato dello scoppio delle bombe e il sibilare dei proiettili sparati dai cecchini nascosti sulle alture. Quando era ormai proibitivo procurarsi un tozzo di pane ed i vicini di casa si erano trasformati nei peggiori nemici. Così, da un momento all’altro. Difficile per una bambina di cinque anni capirne la ragione.

Anja, bosniaca cittadina del mondo, allora ha raggiunto Brescia con i suoi genitori grazie all’impegno dell’Associazione Adl a Zavidovici. Ed è stata accolta ad Agnosine, in Valle Sabbia. La sua casa, dove lei torna con gioia, nelle pause tra una missione e l’altra.

«La cosa difficile è trovare la strada. Poi, cammini». È un racconto di accoglienza, quello dell’ingegner Anja Borojevic, trentenne operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere. La decisione di fare volontariato è maturata quando era in Portogallo e stava studiando per la laurea specialistica. Erano i giorni in cui alcuni Paesi dell’Est europeo avevano alzato muri e reticolati per fermare i migranti che, per questo, scelsero la via dei Balcani. Quella di aderire all’organizzazione umanitaria è maturata qualche tempo dopo.

«Avevo bei ricordi di quando sono arrivata in Italia. Volevo che anche altri li avessero, così sono andata in un campo militare al confine tra Slovenia ed Austria, ma è stato traumatico perché non si poteva parlare con i migranti. Che fare? Beh, se non riesco ad essere utile alla fine del percorso, cerco di esserlo all’origine». Anja è ripartita per le isole greche, dove c’erano anche operatori di Medici Senza Frontiere. Si è poi trasferita ad Atene.

«Volevo fare qualcosa che rimanesse, che potesse cambiare la memoria delle persone con un passato di migranti come me. Qualcosa che diventasse un bel ricordo. Così abbiamo aperto una scuola, per gente di ogni età, affinché durante l’attesa si potesse imparare. Poi sono andata in Nepal e mi sono iscritta a Medici senza Frontiere, una "famiglia" di energie positive, in cui convivono differenti professionalità che si integrano per uno scopo comune».

Anja è giovane, minuta e determinata. Con in tasca una laurea in ingegneria, per Medici senza frontiere lavora come logista, figura fondamentale accanto a quelle sanitarie per garantire il funzionamento delle missioni. Lei, in particolare, è specializzata nel trattamento e depurazione delle acque, responsabili di malattie anche letali, soprattutto nella prima infanzia. La sua prima missione per Msf è stata tra le macerie e la devastazione di una Mosul attaccata dalle milizie dell’Isis.

Lei: «La devastazione della guerra mi ha fatto rivivere la mia infanzia. È bello aiutare e restituire, in qualche modo, quello che ho ricevuto». Poi, con i bagagli sempre pronti, è volata in Mozambico per progetti di prevenzione del colera e nella Repubblica del Centrafrica, per accogliere popoli in cammino. Da ultimo, nella Repubblica democratica del Congo, in piena epidemia di ebola.

«L’Africa è potentissima, ti resta proprio dentro» racconta, mentre con gli occhi accarezza la foto che ritrae Christian, il bambino di due settimane arrivato all’ambulatorio dei Medici senza frontiere. Era sul dorso della mamma ed entrambi erano malati di ebola. La donna è morta poco dopo, il piccolo sta bene. Ora l’ebola si è spostata altrove. Christian è l’ultimo paziente guarito nella sua zona. Anja sorride, il cuore gonfio di gioia.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia