Almici: «Democrazia è fare le elezioni. Noi con enti locali e imprese»

La candidata per FdI alla Camera: «L’Italia vale di più e la difenderemo Pnrr? Cambiate le priorità»
Cristina Almici, candidata alla Camera per Fratelli d’Italia
Cristina Almici, candidata alla Camera per Fratelli d’Italia
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Vedere il suo nome stampato sul foglio della lista ufficiale è stato per lei una sorpresa. «Da amministratore ho sempre pensato che il passo successivo fosse la Regione, a maggior ragione con la crescita di consensi incamerati da Fratelli d’Italia». Ora, però, Cristina Almici - già sindaco di Bagnolo Mella e attuale vice - è candidata alle Politiche alla Camera in una terza posizione che vale come un secondo posto di fatto.

Se dovesse entrare in parlamento lascerà il Comune?

Sono contentissima che in FdI sia contato il lavoro sul territorio e che il partito abbia premiato l’esperienza amministrativa. Certo, le quote rosa esistono e hanno contato. Non lascerò però il mio Comune: non c’è incompatibilità e per me l’attività politica non esiste senza il territorio. Se sarò a Roma il mio obiettivo sarà fare da tramite e non mi presenterò per le Regionali: si deve ragionare da squadra e dare l’opportunità ad altri.

Quali le priorità bresciane?

Tre in particolare: le imprese, gli enti locali e l’ambiente, perché sono temi di supporto fondamentale per la comunità e per le famiglie.

Lei ha anche esperienza in Broletto. La riforma delle Province è una priorità?

È un tema che va affrontato a piè pari, perché si tratta di un organismo fondamentale per i territori, ma la situazione attuale è profondamente inadeguata. Ci sono le competenze, ma non le strutture né i ruoli corretti per gestirle. La riforma è indispensabile: bisogna quanto prima mettere a fuoco funzioni e struttura, altrimenti restiamo bloccati sulle grandi opere.

In queste settimane si è parlato spesso di «pericolo per la democrazia» con l’avanzare del centrodestra...

Non so come possa essere messa a rischio la democrazia da un partito che ha sempre chiesto le elezioni. È il Pd quello del Rosatellum che ora viene contestato ed è sempre il Pd quello che è rimasto attaccato al potere con i governi dalle più disparate maggioranze composte sulla scia di giochi di Palazzo. Nei fatti, quindi, di quale democrazia parlano? Democrazia non significa attuare il programma o le regole del Pd, ma attuare il programma di chi vince, ossia il programma scelto dagli elettori. E lo possono scegliere con il voto.

Dio, patria e famiglia: non è uno slogan che cozza con l’attualità? Cosa risponde a chi vi associa così al fascismo?

Non è assolutamente inattuale, anzi. Il richiamo a Dio è alle nostre radici cristiane che hanno delineato la nostra nazione. Il riferimento alla patria significa ridare all’Italia il ruolo che le spetta, interrompendo una sudditanza sbagliata e difendendo gli interessi del Paese. La famiglia è il primo punto del nostro programma, l’elemento centrale delle nostre comunità. Questo non significa togliere diritti alle donne, bensì farli valere tutti quanti e non solo alcuni. La Meloni e FdI non hanno nulla a che fare col fascismo ed è assurdo che il tema salti fuori sempre solo in campagna elettorale.

Guido Crosetto ha parlato di un’Italia che rischia un autunno «da Gotham city», auspicando l’aiuto delle opposizioni eventuali. Significa porta aperta alle alleanze?

Il problema energetico è gigantesco e ci saremmo aspettati un intervento più importante ed efficace sia dal governo sia dall’Europa, invece è stato più comodo spostare il problema in avanti. Il punto però è che le nostre imprese non hanno più tempo. Quel che ci aspettiamo dalle eventuali opposizioni, se FdI e il centrodestra dovessero vincere, è semplicemente ciò che abbiamo fatto noi: un’opposizione responsabile.

Si è parlato molto di «voto utile»: Letta ne ha fatto il suo vessillo. Voi siete, sull’altro fronte, il partito dato in vantaggio: sposate il concetto?

È importante che in questa fase ci sia un voto forte e non un risultato risicato, perché altrimenti l’azione di governo rischia di essere più debole, questo è chiaro e lo condivido. Il punto è che i quattro partiti del centrodestra, oltre ad avere le proprie agende, hanno già un programma di governo condiviso di coalizione forte e definito nei dettagli. Gli altri? Io credo che il cambiamento vero si riesca a compiere solo con idee e obiettivi chiari. Non sapendo il risultato è complesso parlare di alleanze, di certo noi con il Pd non abbiamo nulla da condividere, ci può essere un dialogo istituzionale corretto su alcuni temi, certo, ma non altro.

Perché, nel contesto attuale, avete aperto il dibattito sul presidenzialismo?

Perché vogliamo mettere l’elettorato al centro, pensiamo che sia importante che siano i cittadini a scegliere il presidente della Repubblica. Del resto si tratta di una figura di garanzia e di stabilità rispetto ai programmi, alla Costituzione e alla credibilità dell’Italia.

Alcuni esponenti di FdI mettono in discussione la crisi climatica. Qual è la posizione del partito?

Indubbiamente esiste ed è un problema serio. Ma bisogna ragionare con i piedi per terra: la scadenza del 2030 non è realistica, così come pensati quegli obiettivi sono irraggiungibili. Mi spiego: servono dei traguardi intermedi, bisogna agire per step con scadenze ravvicinate precise, altrimenti non ce la faremo neppure per il 2040. Bisogna avviare un percorso insieme alle aziende, un cammino sociale-ambientale accompagnato da minore burocrazia. Le comunità energetiche non hanno ancora una normativa, le Soprintendenze bloccano l’installazione dei pannelli fotovoltaici: così non va. Per mettere l’ambiente al primo posto va sanato tutto questo.

Il centrodestra vuole rimodulare il Pnrr: come e perché?

Da quanto è partito il Pnrr le esigenze sono cambiate. Ricordiamoci che si tratta di soldi che vanno poi restituiti, quindi vanno sfruttati al meglio. Quel che proponiamo non è di mandare a monte tutto, bensì di apportare quelle modifiche che sono consentite nel perimetro degli accordi già sottoscritti per gestire al meglio le risorse. Tenendo conto che l’Italia oggi trasferisce all’Europa più fondi di quanti ne riceve. Non si può sentire, ad esempio, che con il Pnrr la Lombardia possa finanziare solo nove scuole e tre impianti sportivi. Sono numeri ridicoli.

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