Alcolismo e rinascita: le storie di chi ce l'ha fatta

Il racconto di alcuni Alcolisti Anonimi. Chi ha smesso da 7 anni, chi da 37. «Ero vicina alla morte»
Giornate del patrimonio
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«Avevo paura, sentivo dentro un male che non potevo definire e allora bevevo» riconosce Giovanni. Era lo stesso per Alessandro: «Da mattina a sera vivevo divorato dal terrore di non riuscire a realizzare i miei progetti, di fallire».

Beppe conferma: «Quello che ci accomuna è il vuoto che avverti, che cerchi di riempire con il bicchiere». Una sofferenza alimentata dalla falsa certezza di non essere capito dagli altri: «Mi sentivo una vittima - spiega Cristina - ero convinta che il mondo ce l’avesse con me».

Voci di alcolisti, di uomini e donne che per molta parte della vita sono stati schiavi del bicchiere, ma che da anni - chi da sette, chi da trentasette - vincono la loro battaglia quotidiana, restando sobri. Ventiquattro ore dopo ventiquattro. «Perché l’alcolismo - avverte Giorgio - è una malattia da cui non si guarisce: si può solo arrestare, smettendo di bere».

Avendo innanzitutto il coraggio di ammettere la propria condizione e di chiedere aiuto. «Così non sei più solo» dice Giovanni. «Sai di poterti affidare ad altri come te, che non ti giudicano. Mettendole in comune le paure si attenuano».

È sera di incontro nella sede degli Alcolisti Anonimi di via Altipiani di Asiago 15, a Borgo Trento. Una dozzina di amici, che da molti anni si confrontano, raccontandosi la loro esperienza, il male di vivere che li ha spinti sull’orlo del burrone, le ragioni che hanno reso possibile l’inversione di rotta.

«Solo chi vuole salvarsi la vita diventa alcolista anonimo, bisogna prima avere toccato il fondo», riconoscono. La serata inizia con la lettura del primo dei Dodici Passi, che rappresentano il programma di recupero dell’associazione. La premessa di tutto: «Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute incontrollabili». Il primo atto da fare, spiega Giovanni, è chiedere aiuto.

«Per diventare alcolisti ci vogliono 10-15 anni. Gli ultimi due sono tremendi, quelli in cui decidi se vuoi vivere o morire. Io dissi basta. Ma alla prima riunione degli Alcolisti Anonimi a cui partecipai rimasi sbalordito». C’erano persone che ridevano fra loro, «mentre io avevo la morte nel cuore, non capivo come si potesse essere sereni. Poi, frequentando le riunioni e praticando i Dodici Passi, l’ho scoperto».

Gabriella racconta di essere «stata vicino alla morte. Ancora un paio di mesi di quella vita attaccata al bicchiere e addio. Quante volte sono venuta qui ubriaca, pensando che era inutile, che la volta dopo non sarei tornata. E invece eccomi. Faccio tutte le mie 24 ore: "Anche oggi sono rimasta sobria", questa è la frase fondamentale».

Il percorso durerà tutta la vita. «Ero ubriaco da mattina a sera, avevo paura di vivere, di deludere gli altri, di non fare le cose che avevo in mente» dice Alessandro. «La prima sera che sono venuto qui è stata una liberazione. Mi sono affidato al gruppo e al programma, so che sarà così fino al termine della mia vita».

Non è facile riconoscersi fragili e malati. Cristina, moglie e madre di due figli, era arrivata quasi allo stremo. «Quando partecipai per la prima volta agli Alcolisti Anonimi credo fossi ubriaca. Qualcuno mi disse di smetterla di fare la bambina, di diventare responsabile e non dare sempre la colpa delle mie debolezze agli altri. Credo di essere tornata per dimostrare a me stessa di non essere una bambina. Adesso sono sette anni che non tocco alcol».

Serve una grande umiltà, aggiunge Beppe. «Alcolisti Anonimi ti aiuta a guardarti dentro, a smussare i problemi, ti fa scoprire i tuoi limiti. Certo, ci vogliono pazienza, tempo, determinazione».

Giacinto è l’alcolista con la storia più lunga: 37 anni di sobrietà. Aveva una vita apparentemente normale, «ma stavo male, divorato dall’ansia. E bevevo. Ho voluto provare a smettere e ce l’ho fatta. La sobrietà mi ha regalato una vita nuova, piena di attività, spesa nel volontariato».

Nonostante i 37 anni di astinenza non manca mai agli incontri, fedele al 12° Passo dell’associazione: «Portare un messaggio di speranza e aiutare gli altri alcolisti». Corrado pensava «di non avere bisogno di nessuno e perciò non riuscivo a smettere. Soltanto con il mutuo aiuto si esce dal dramma».

C’è chi ha messo in crisi la famiglia, chi da essa è stato sostenuto. Come Paola: «È stata mia figlia a buttarmi in faccia il problema e a spingermi ad affrontarlo. Gli alcolisti si illudono sempre che gli altri non si accorgano del loro stato di ubriachi perenni». Qualcuno è stato costretto anche a cure disintossicanti. «Bevevo per sentirmi più sicuro davanti alle cose e alle persone. Alcolisti Anonimi mi ha salvato - racconta Filippo - mi ha modificato il carattere. Anche di fronte alle giornate negative non bevo più». Giovanni spiega il senso ultimo di quell’Anonimi: «Vuole dire che qui siamo tutti uguali, che rinunciamo umilmente al nostro ego. Nessuno giudica nessuno».

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