Alaska, sfida fra i ghiacci: tre bresciani all'Iditarod

I camuni Gregorini e Sterli faranno 1.770 km con gli sci, il ghedese Musicco «si limiterà» a correrne 560 a piedi.
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Da Anchorage a Nome fanno 1770 chilometri. Millesettecentosettanta. Di niente o di tutto, dipende dai punti di vista. Dipende da te. Dici Alaska e ti viene freddo: neve, ghiaccio, ghiaccio, neve, orsi polari, cani con le slitte. Qualcuno dice che è l'inferno al contrario, per qualcun altro è il paradiso.
Per Savino, Mario e Paolo, i tre bresciani che domenica partiranno da Knik, due passi da Anchorage, per l'Iditarod 2011, l'Alaska è il luogo dell'anima. Lei chiama, tu rispondi. Come fosse una donna irresistibile. Come fosse un amore indomabile. Che ti spinge ad andare sempre più in là, sempre più avanti, sempre più oltre.
«Oltre»: eccolo il termine giusto per cominciare a raccontare questa storia. La storia di tre bresciani «oltre»: Savino Musicco di Ghedi, Mario Sterli di Edolo, Paolo Gregorini di Vezza d'Oglio. Il loro viaggio dell'anima è un viaggio vero e proprio, e comincia domattina all'alba. Da Anchorage a Nome, lungo un cammino vecchio di ottantasei anni. A noi bresciani lo fece conoscere Lupo. Lupo è Roberto Ghidoni, di Ludizzo di Bovegno, che questa Iditarod ce l'ha inchiodata in testa, a colpi di partecipazioni e primi posti, con tanto di record. La tradizione nostrana è poi continuata: la cordata bresciana si è sempre fatta notare, quasi come se fra l'Alaska e la nostra provincia si fosse cristallizzato un filo sottile ma ogni anni più resistente. Pensate un po': quest'anno gli italiani sono sei. La metà è gente delle nostre parti. Non può essere una coincidenza.
La gara, si diceva, è vecchia di ottantasei anni. Ha origini eroiche: è una sfida vera che ha una storia vera. Nel 1925 un'epidemia di difterite colpì la città di Nome. Per salvare il villaggio serviva un'antitossina, che però, per via delle pessime condizioni meteorologiche, non era possibile far arrivare rapidamente da Anchorage. Non potendo ricorrere ad aerei e navi, si ricorse alla tradizionale slitta trainata dai cani. L'impresa riuscì. Ispirò anche un cartone animato, «Balto», dal nome del cane che riuscì a raggiungere Nome in cinque giorni.
Per celebrare quell'impresa sono nate due competizioni: la Iditarod Trail Sled Dog Race, che si corre a marzo con le slitte trainate da cani, e l'Iditarod Trail Invitational, che appunto vedrà al via i tre bresciani. I partecipanti sono in tutto cinquanta; c'è chi corre a piedi, chi pedala in mountain bike, chi scia. I camuni Gregorini e Sterli faranno tutti e 1.770 chilometri con gli sci ai piedi, mentre il ghedese Musicco si limiterà (si fa per dire) a correrne a piedi 560.
Sì, perchè non tutti arriveranno a Nome: alcuni dovranno piegarsi al freddo, alle bufere, agli ampi spazi inabitati, altri invece si fermeranno a McGrath, appunto dopo 560 chilometri circa. Tappa intermedia e per molti definitiva. Il tandem camuno sfiderà invece l'Alaska fino a Nome. Roba da duri: è una gara di resistenza fisica e psicologica, con regole severissime. La più dura è l'obbligo di autosufficienza: significa che tutto ciò che ti serve per sopravvivere laggiù devi trainartelo da solo. Con una slitta. A meno quaranta. A Paolo, Mario e Savino abbiamo chiesto come si fa. Risposta: «Semplice, si corre». Viene in mente la frase cult di «Into the wild», romanzo di Jon Krakauer dal quale Sean Penn ha tratto un film, ambientato proprio in Alaska: «Se vuoi qualcosa nella vita, allunga la mano e prendila». Per avere maggiorin informazioni si può consultare ii sito www.iditarod.it
Carlos Passerini
c.passerini@giornaledibrescia.it

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