Aids: «Molte diagnosi solo a 6 anni dal contagio»

Nel 2016 in Italia sono state registrate 3.451 nuove diagnosi di infezione da Hiv, di cui 166 solo nel Bresciano
AIDS: 166 DIAGNOSI NEL 2016
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Nel 2016 in Italia sono state registrate 3.451 nuove diagnosi di infezione da Hiv, di cui 166 solo nel Bresciano. Dove, complessivamente, sono 3.757 le persone sieropositive che vengono attualmente seguite dall’Istituto malattie infettive dell’Ospedale Civile. Ma 166 nuove diagnosi sono molte o poche?

Se si confrontano i dati con quelli dell’anno precedente, si osserva che calano i contagi: nel 2015, nella nostra provincia, se ne contavano 9,2 ogni centomila abitanti; l’anno successivo sono stati 5,9 ogni centomila, a fronte dei 9,8 del Milanese.

I dati dei primi sei mesi del 2017 a Brescia, con 80 nuove diagnosi, confermano una sostanziale stabilizzazione delle nuove infezioni. Le diagnosi, tuttavia, rappresentano solo i casi noti e, dunque, non corrispondono al quadro reale dell’infezione, anche perché, sempre più spesso, quando una persona sa di essere sieropositiva al virus dell’Hiv, causa dell’Aids, spesso convive con l’infezione già da tempo.

«Da un’indagine effettuata tra i nuovi diagnosticati, è emerso che il 40% di loro è inconsapevole di essersi esposto al rischio» spiega il professor Francesco Castelli, direttore della Clinica delle Malattie infettive del Civile e ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Brescia.

La gravità. «Quando viene fatta una diagnosi di sieropositività, si ha il quadro della presenza delle cellule CD4 nel sangue della persona e questo serve a determinare lo stato del sistema immunitario - spiega Castelli -. In una persona sana, le CD4 sono 800-1000; la prima soglia di allarme si ha quando scendono a 500, la soglia di attenzione a 350, a 200 è critica. Ebbene, nella maggior parte dei casi, la diagnosi viene fatta quando la soglia è a 350, questo significa che la persone ha già cinque o sei anni di sieropositività alle spalle, senza saperlo. E questo, ovviamente, vuol dire che in questi anni ha potuto infettare altre persone. Quando la soglia scende a 200, lo stato immunitario è molto compromesso: il passaggio tra sieropositività e Aids conclamato si ha proprio alla comparsa di alcune malattie opportunistiche causate da batteri, virus, funghi e parassiti che vengono normalmente controllati dal sistema immunitario. Il 36,9% dei sieropositivi è in questa fase di malattia, dunque a rischio».

Prima si sa, meglio è. Tutto questo significa che, anche per la sieropositività, la diagnosi tempestiva aumenta la probabilità di tenere a bada l’infezione e di cronizzare la malattia, sì da consentire un’aspettativa di vita relativamente lunga, purché l’aderenza alla terapia è massima. Castelli: «La vera sfida è proprio questa: fare in modo che le persone si sottopongano al test se ritengono di essersi esposte al rischio di infezione, ricordando che, dai dati disponibili a livello nazionale, si registra un’alta incidenza nella fascia 25-29 anni e che la via di trasmissione è soprattutto sessuale: 47,6% etero e 38% omo. Una sfida, perché le attuali terapie disponibili permettono di curare le persone sieropositive e di ridurre del 96% la loro carica virale, ovvero la possibilità che possano trasmettere il virus ad altri».

Le terapie. Ed aggiunge: «La terapia è straordinariamente migliorata rispetto ai primi anni di disponibilità di farmaci antiretrovirali: oggi le pillole da assumere sono mediamente 1-2 ed hanno una elevatissima efficacia». Farmaci che, appena entrati in commercio, avevano costi elevatissimi. Ora, per molti di questo, i brevetti sono scaduti e, dunque, dovrebbero abbassarsi anche i prezzi. Tuttavia, una terapia media per una persona sieropositiva costa ottomila euro l’anno. Circa 30milioni solo in farmaci per curare quelle che si rivolgono al Civile. Agenda Onu 2030. L’’impegno non si ferma, come emerge anche dalla Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra oggi.

«L’Hiv è tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu» spiega Castelli che in Università è anche titolare della Cattedra Unesco per lo sviluppo sanitario nei Paesi a risorse limitate. «Per gli obiettivi, entro il 2020 il 90% di persone infette deve essere diagnosticato, il 90% sia in terapia, il 90% abbia il virus negativo nel sangue. Se questi obiettivi saranno raggiunti, l’Hiv non sarà più un problema di sanità pubblica».

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