Abusi all'asilo «Abba», ci sarà un nuovo processo

La Corte di Cassazione annulla per la terza volta la sentenza d'appello. Dopo 10 anni ancora nessuna verità.
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Una brutta storia. Che rischia di diventare, a meno non lo sia già, anche infinita. Dopo sette processi (uno di primo grado, tre d'appello e tre in Cassazione) la giustizia non è ancora arrivata a dire se all'asilo Abba, all'inizio degli anni Duemila, si siano consumati abusi a danno di alcuni alunni.
La Corte di Cassazione, interpellata per la terza volta, nonostante il parere contrario della pubblica accusa, ha deciso di annullare la seconda pronuncia assolutoria della Corte d'appello e di rinviare ad un'altra sezione la questione.

Saranno dunque otto, ma probabilmente saliranno a nove, i gradi di giudizio necessari per arrivare alla parola fine sulla vicenda che tanto ha scosso famiglie, istituzioni e società civile. Le accuse mosse al bidello risalgono a dieci anni fa. Siamo al gennaio del 2002 quando una mamma si presenta in Questura e denuncia il disagio della piccola figlia. A quella denuncia se ne aggiungono altre e, per dirla con una delle tesi difensive, si scatena il contagio che travolge un altro asilo comunale: il «Sorelli».
L'inchiesta di allora accende i riflettori su sei persone in tutto, ma si tramuta in un processo solo a carico di un bidello (lo stesso chiamato a difendersi tutt'oggi), due bidelle e la coordinatrice della scuola. In primo grado, nel dicembre 2004, sono condannati solo i primi due, rispettivamente a 15 anni e a 10 anni e sei mesi. Il primo appello, nell'aprile di due anni dopo, riduce a 13 anni la condanna del primo e manda assolta la seconda. Di fatto ridimensionando la portata dell'accusa e il numero degli episodi di violenza ritenuti provati.

La Cassazione, invocata dai legali del bidello superstite, gli avv. Patrizia Scalvi e Guglielmo Gulotta, annulla la condanna con rinvio. I giudici di appello riformano la loro decisione e assolvono l'uomo. L'accusa impugna, la Cassazione annulla, e la Corte d'appello è di nuovo chiamata a pronunciarsi. Lo fa dopo aver esperito inutilmente il tentativo di perizia su una delle presunte vittime dell'imputato. L'assoluzione è confermata, ma la procura generale non si rassegna. Gli ermellini sono chiamati di nuovo a pronunciarsi, e si pronunciano come in precedenza. A nulla vale l'intervento del procuratore generale in Cassazione: «È stato indagato l'indagabile, non si può superare il ragionevole dubbio che impone di assolvere» dice il pubblico accusatore. Non basta: l'assoluzione è nuovamente annullata e il processo è nuovamente da rifare. Con il dubbio, legittimo, che di verità dopo dieci anni e otto processi sarà difficile parlare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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