A spasso nel bosco tra ampóme e maöle

Radici latine, celtiche, longobarde se ne stanno nascoste appena sotto il morbido terreno del sottobosco
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Era un bel po’ che gli tenevo gli occhi addosso e finalmente ho deciso di regalarmelo. Ho tra le mani il «Nuovo vocabolario del dialetto di Bagolino», edito nel 2002 da Grafo, autori Fiorino Bazzani (scrittore e instancabile cultore di cose bagosse, ci ha lasciato due anni fa) e Graziano Melzani (raffinato docente di lungo corso di lettere classiche).

Io lo trovo un piacere irrinunciabile. Passeggiare tra le pagine di un dizionario è come lasciar andare i propri passi liberi dentro un bosco: ci si espone forse al rischio di perdersi lungo sentieri interrotti, ma in questo girovagare si trovano frutti buonissimi. L’opera di Bazzani-Melzani, poi, non si limita a riportare la traduzione italiana dei termini dialettali ma spesso ne ripercorre l’etimo.

E così tra i frutti di bosco ci imbattiamo nelle ampóme, dolcissimi lamponi che devono il loro nome «al tema paleoeuropeo *amp». Pochi cespugli più in là, rosse di timidezza, ecco le amazù: così a Bagolino chiamano le fragole, che quasi altrove nel Bresciano sono le maöle («dal latino maiustula, cioè maggiolina dal mese di maggio»). Avanti ancora, per assaggiare delle móre (qui non serve traduzione) o degli scuri mirtilli: a Bagolino li chiamano glaziù (a volte i glaziù del lùf), altrove glazù, ghizlù oppure grizù. Il dizionario di Bazzani e Melzani ci legge all’origine il «celtico glasto verde».

Insomma: di volta in volta radici latine, celtiche, longobarde. Che se ne stanno nascoste appena sotto il morbido terreno del sottobosco ma che da secoli e secoli continuano a germogliare.

 

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