A Messi a fuoco il femminicidio di Giulia Tramontano e la violenza sulle donne

La vicenda è stato lo spunto per parlare di violenza di genere. Tra gli ospiti Parvinder Aoulakh, meglio nota come Pinky
I carabinieri durante le indagini del femminicidio di Giulia Tramontano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
I carabinieri durante le indagini del femminicidio di Giulia Tramontano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Violenza di genere e femminicidio è stato il tema al centro della puntata di Messi a fuoco, andata in onda questa sera su Teletutto (canale 16). Partendo dalla terribile vicenda di Giulia Tramontano - la 29enne incinta di sette mesi uccisa a Senago (Milano) dal compagno Alessandro Impagnatiello - si è affrontata quella che è a tutti gli effetti una piaga sociale, frutto di una sottocultura machista, che continua a mietere vittime.

In studio, ospiti di Andrea Cittadini, ci sono state Roberta LevianiMoira Ottelli, fondatrice di Butterfly, la cooperativa che accoglie e orienta le donne vittime di maltrattamenti, Carolina Margani, avvocato e già membro della commissione pari opportunità del Comune di Brescia, e Parvinder Aoulakh, meglio nota come Pinky, nel 2015 aggredita dal marito che la cosparse di diavolina liquida, dandole fuoco davanti ai suoi figli di tre e cinque anni.

Oggi Pinky si batte per i diritti delle donne ed è la referente a Brescia dell’associazione Il muro delle bambole. In collegamento Skype da Roma c'era invece, Maddalena Morgante deputata di Fratelli d’Italia e membro della commissione Affari sociali che ha parlato del disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso mercoledì che inasprisce le pene per chi si macchia di reati contro le donne.

La seconda parte della trasmissione è stata invece dedicata alla Romagna e all’impegno dei volontari di Protezione civile per gli alluvionati. Collegato via Skype c'era Alberto Bertagna, consigliere delegato alla Protezione Civile della Provincia di Brescia.

Il liveblog della puntata, attraverso il dialogo tra le ospiti

Moira Ottelli, fondatrice di Butterfly: «Davanti a queste storie ci domandiamo cosa sta succedendo, un fenomeno strutturale che pone donne in subordine rispetto agli uomini. Il femminicidio è solo l’ultima della violenza sulle donne: mettere le donne in una condizione di sudditanza, coercizione e controllo che quando non c’è più scatena l’uccisione».

Carolina Margani, avvocato: «Questo è uno dei più cruenti dei femminicidi, ma bisogna dire che è anche cambiata la sensibilità nei confronti di questi delitti. È una questione culturale, manca l’azione di prevenzione, non  punitiva, che dovremmo fare tutti: non solo le donne». 

Roberta Leviani del centro antiviolenza Butterfly: «L’immagine di quest’uomo è la classica immagine del narcisista. Il femminicidio è l’ultima azione di coercizione verso la persona. Un fenomeno che ha radici culturali molto profonde che va cambiata, perché così la donna non è sovrana della propria vita ma appartiene all’uomo. Noi al centro cerchiamo di far capire che cos’è la violenza, che non è solo quella fisica: piccole frasi e battute sono l’anticamera dei femminicidi.

Pinky: «Quanto è difficile denunciare? Penso che non si possa descrivere. Cerchi di trovare una giustificazione, di capire che la persona che ami non possa arrivare a tanto. Si parla sempre di ragazze e di donne come se il problema fossero le donne quando il problema sono gli uomini, questi uomini, che hanno bisogno di essere seguiti e curati. Nelle case di cura dovrebbero finire loro».

Margani: «L’uomo violento non è malato. Ma siamo davvero sullo stesso gradino? Pensiamo al divario salariale: ci sono troppi stereotipi che vanno cambiati».

Leviani: «Sono tante le situazioni che conosciamo e riusciamo a prevenire. Abbiamo tante donne con un elevato rischio che vanno portate alla consapevolezza de rischio che stanno correndo. Non è facile. Bisogna accompagnarle ad una consapevolezza maggiore. 

Pinky: «Io tuttora ho paura del mio ex e non mi sentirei mai sicura sapendo che lui è fuori anche con l’obbligo di stare a 500 metri di distanza».

Margani: «All’ultimo appuntamento chiarificatore chiesto dall’uomo non si va. La prevenzione è necessaria e la prima e non mandare via le donne che denunciano dalle caserme. Vedo poca prevenzione quando si tratta di mettere i soldi per realizzarla».

Ottelli: «La violenza non è un fatto individuale. Va bene le misure successive ma serve la prevenzione».

Leviani: «Le leggi ci sono, il codice rosso del 2019, ma non sempre c’è l’applicazione di queste norme. C’è adesso il disegno di legge ma serve applicarle e sopratutto serve cambiare la cultura».

Maddalena Morgante, onorevole: «Questo ddl è frutto di un’attenta riflessione che parte dal codice rosso e dalla relazione della commissione parlamentare sul femminicidio, oltre che dai tanti omicidi di questi mesi. C’è necessità di intervenire su questi temi. Prevenzione e inasprimento dei reati sono alla base del provvedimento approvato dal governo. Il distanziamento da 50 metri a 500 metri. Si è voluto agire sulla riduzione dei tempi per il processo per ridurre il rischio per le donne. Serve certo la prevenzione e quindi la cultura deve cambiare. Questo provvedimento serve se aggiungiamo i fondi per applicare la prevenzione. Bisogna intervenire inasprendo le pene. Serve aumentare il numero di magistrati dedicati alla materia. Ho depositato una proposta di legge dedicata a tutte le vittime con sfregio al volto affinché vengano inserite nelle categorie protette. Tante volte succede che chi commette il reato sconta la pena e poi torna nella vita sociale, mentre chi ha uno sfregio al volto ha una ripercussione psicologia e sociale importante. 

Pinky: «Sono passati 8 anni e non ne sono ancora uscita. Il trauma c’è e rimane e tante volte il malessere riaffiora tutto. Vale per me e per tante donne in cui le generalità sono state cambiate. Io tante volte faccio fatica ad accettare questo volto».

Leviani: «Credo che, oltre l’applicazione di alcune norme, manchi la continuità. Anche al centro Butterfly ci sono state condanne ma anche sospensioni e revoche di condanne, in alcuni casi non notificate alla vittima che si è trovata davanti a casa l’uomo violento». 

Margani: «Il carcere non risolve il problema. Noi abbiamo fior fior di leggi ma manca il sistema, il personale. I centri per gli uomini non ci sono seppur il codice rosso lo preveda». 

Morgante: «Il problema ha diversi aspetti: negli ultimi mesi il governo ha assunto provvedimenti come l’aumento del personale carcerario. Ce la stiamo mettendo tutta e i problemi sono tanti. Per quanto riguarda i centri antiviolenza, il ddl prevede l’aumento di un terzo dei fondi proprio per i centri antiviolenza per gli uomini. Io credo che con questo ddl si sia voluto dare una stretta importante e penso però che si debba intervenire sull’aspetto culturale e nelle scuole. 

Ottelli: «Da tre anni che aspettiamo i fondi e senza fondi non si può fare nulla. Servono poi i fondi per i centri degli uomini maltrattanti. Servono fondi strutturali perché con i volontari non si va da nessuna parte». 

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