A Brescia le lettere di madri russe: «I nostri figli massacrati»

Tante donne scrivono la loro angoscia nelle lettere inviate a padre Fiorenzo Reati, loro parroco in Russia
Una donna russa a Mosca - Ansa © www.giornaledibrescia.it
Una donna russa a Mosca - Ansa © www.giornaledibrescia.it
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«Ci hanno mandato a difendere la frontiera con l’Ucraina. Poi ce l’hanno fatta superare e ci hanno detto che non si poteva più tornare indietro, altrimenti ci avrebbero uccisi. Così siamo andati avanti. Ed ho visto la guerra».

La giovane recluta ha compiuto da poco vent’anni. Come Ilia, che di anni ne ha ventuno. Shasha, che ne ha 22 e Vassilii, ventitré. Sappiamo del loro destino dalle madri che vivono a San Pietroburgo e che frequentano la parrocchia dei francescani, la stessa in cui ha esercitato il suo ministero padre Fiorenzo Reati, ora rientrato a Brescia dove ha ridato vita al convento di via Callegari. Mamme russe che gli hanno scritto sei lettere per raccontare il dolore delle loro anime lacerate e dei loro corpi che non trovano pace.

Perché questa guerra?

«Ma perché queste storie di guerra, di lacrime...» scrive Irina. E sembra di vederle, quelle lacrime, anche se le parole non sono più d’inchiostro ma compaiono asettiche sullo schermo del computer. Ancora: «Mi sento sola, non compresa: qui c’è un consenso diffuso alla guerra. Resto sola con il mio dolore: mio figlio al fronte, sola con i miei sogni di pace, con le mie sofferenze dure come la roccia, con la mia speranza perduta». Sofia: «Siamo donne umili, del popolo: vorrei trovarmi faccia a faccia con Putin e dirgli di mio figlio Shasha al fronte...e lo pregherei di farlo tornare».

Un appello che si disperde come piuma al vento, a fronte della propaganda ufficiale. O del silenzio ufficiale. «Padre, vorrei dirle la verità - scrive ancora Sofia rivolgendosi a Reati -: qui i capi pretendono di sapere tutto ciò che voglio, di raccontare e spiegare al mio posto... io ho una verità semplicissima: ho generato mio figlio e lo voglio vivo. Sono desolata: quanto complessa è questa umanità. Vorrei celebrare con mio figlio vivo e con chi lo ha mandato al fronte la semplice felicità di essere vivi tutti: mio figlio, i soldati, i generali, il popolo russo e quello ucraino, i capi di Russia e Ucraina...».

Il dolore delle madri

Padre Fiorenzo è scosso, mentre traduce per noi dal russo le parole di queste mamme, delle sue ex parrocchiane. Persone che conosce bene, figli che ha visto nascere. Irina, 52 anni. Sonia, 47. Sofia, 48. Padre Fiorenzo: «Sento le ferite del cuore sanguinanti. Le nonne di questi giovani hanno avuto i mariti in guerra dal 1941 al 1945, all’epoca dell’aggressione nazista alla Russia sovietica. Mamme di tre generazioni: perché questa guerra? Lo scrivono, e mi tocca il loro modo femminile di interrogare la storia per giungere a quella che sfugge all’indagine degli storici ufficiali maschi. Ascolto le loro parole per offrire la possibilità di dare un nome alla loro solitudine, alla nostalgia dei figli, alla sofferenza incistata e alle loro speranze perdute».

Verità e guerra

Sofia: «La verità sulla guerra è femminile, non è quella dei maschi». Lei, donna colta, racconta di sua madre: «Una delle ottocentomila giovani donne che furono arruolate nell’Armata Rossa per lottare contro i nazisti. Donne che, a guerra finita, hanno fatto atto di resistenza alla menzogna e all’oblio dei maschi: il loro ruolo nella guerra patriottica antinazista non appare nella storiografia ufficiale sovietica». Padre Fiorenzo ricorda che gli storici del regime sovietico post-bellico, sotto l’etichetta di una «dotta neutralità», «hanno raccontato la loro storia: quella di uomini che narrano la guerra degli uomini, le loro azioni militari, le loro vittorie, i loro eroismi, le loro paure e la loro esaltazione. Non appare la memoria di quei battaglioni di donne-coraggio». No, non appare nemmeno lì. I libri di storia spesso dimenticano le donne. Nessuno ci interroga.

È ancora Sofia a scrivere, sfruttando la sua dimestichezza con le parole: «Nessuno ci chiede di dire il nostro pensiero sulla guerra in corso. Sui giornali ufficiali nessuna donna ha preso la parola, perché essa è appannaggio degli uomini. Ovvio, quella della donna non è degna di essere detta nel racconto eroico della propaganda ufficiale. Se parlassimo da donne madri diremmo parole intollerabili. Dovremmo dire di un mondo di soldati arruolati per un compito disumano. No, la guerra degli uomini non è la stessa della guerra delle donne. Il soldato uccide. Ma come possiamo noi uccidere se siamo nate per generare?».

La violenza

Sofia ricorda ancora sua madre, le memorie tramandate. Ricorda di quando le disse che «il corpo delle donne nella guerra è preda ambita dalla violenza fisica e simbolica degli uomini». Quando le parlò dell’«umiliazione subita per essersi dovuta esporre allo sguardo degli uomini con il sangue del ciclo mensile». Padre Fiorenzo: «Ho notizia di violenza dei soldati russi sulle donne ucraine. Non mi sorprende: il male è banale e si ripete. L’amore e la tenerezza sono per la donna, e non solo, sempre creativi».

Infine Irina, 52 anni, madre di un ventenne in guerra in Ucraina: «Se scrivessimo queste cose su un giornale ufficiale, ci accuserebbero di nutrire un culto piccolo borghese per l’intimità, tanto più inutile per la storia perché filtrato da una angusta sensibilità femminile. Ora so che il morire non è la stessa cosa dell’essere uccisi. Vorrei sapere dov’è il confine tra l’umano e il disumano. Forse il generale lo sa. Ma io, donna e madre, lo so molto meglio di lui».

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