A Brescia il fermoposta di una maxi-evasione fiscale

Un arresto e sequestri per oltre 325mila euro per bancarotta e sottrazione fraudolenta
Le operazioni della GdF di Schio - © www.giornaledibrescia.it
Le operazioni della GdF di Schio - © www.giornaledibrescia.it
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La Guardia di Finanza di Schio ha arrestato una persona ed eseguito sequestri per oltre 325mila euro per bancarotta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Nell'inchiesta della procura di Brescia sono indagate 11 persone.

Il provvedimento, emesso dalla magistratura di Brescia, ha interessato 7 immobili nei confronti di una società di capitali del vicentino attiva nel settore immobiliare (tra cui uno chalet nel vicentino e numerose proprietà terriere in Abruzzo), nonché nei confronti di 4 indagati. Le indagini sono iniziate nel 2016 quando i finanzieri, nell'ambito di un'istruttoria prefallimentare per una ditta vicentina attiva nel settore tessile, avevano individuato un preordinato atto giuridico di scissione con cui la medesima società, in debito con l'Erario per 2 milioni di euro si era «spogliata» dell'attivo patrimoniale per un valore di 2.215.000 euro per non pagare il fisco. Poi, tramite successivi atti di compravendita, vari immobili a Roana (Vicenza) del valore di oltre 700.000 euro, sono stati ceduti, fraudolentemente, al figlio dell'amministratore della società tessile, all'epoca poco più che ventenne, senza il pagamento di alcun corrispettivo.

Tra l'altro, i beni immobili erano stati protetti dall'aggressione patrimoniale dei creditori tramite il conferimento in un trust, dal quale la società immobiliare era interamente controllata. Infine, la società tessile, ormai cessata, era stata trasferita a Brescia dove era presente una mera cassetta della posta.

Nel corso delle indagini, anche tramite perquisizioni fatte nelle province di Vicenza, Milano, Roma e Brescia, era stata rilevata l'esistenza di una «catenaria» di entità giuridiche, tutte riferibili alla stessa persona indebitata con il Fisco per oltre 7 milioni di euro. Il principale indagato, residente nel vicentino, con la complicità dei familiari e di vari prestanome, aveva costituito numerose imprese tutte destinate alla decozione (bad companies), e la contestuale scissione delle «good companies» per conservare intatto il patrimonio di famiglia, rimasto indenne dall'aggressione dell'Erario e dei creditori commerciali.

 

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