1000 Miglia: la storia e lo sviluppo dell'Italia
Sono in molti, prendendo spunto da Enzo Ferrari, a definire la 1000 Miglia la corsa più bella del mondo. L’abitudine, soprattutto ai giorni nostri, è però quella di limitarsi ad una considerazione semplicemente sportiva, senza valutare altro. In realtà la 1000 Miglia ha avuto un ruolo di non poco conto nello sviluppo del nostro Paese, sia sotto il profilo delle infrastrutture che dal punto di vista della crescita tecnologica e, quindi economica, in particolare nel settore automobilistico.
Non una semplice corsa, dunque, pur con tutta la sua valenza agonistica data dalla partecipazione, nelle varie edizioni, di grandi campioni, non solo italiani.
La provincia di Brescia, già nei primi del ‘900 era terra di passioni motoristiche particolarmente forti. Passioni che il 4 settembre del 1921 fecero scattare il primo Gran Premio d’Italia che si corse in territorio di Montichiari, su circuito appositamente creato alla Fascia d’Oro. Un successo che ispirò l’anno successivo la costruzione dell’Autodromo a Monza che da allora è sede del Gran Premio d’Italia.
Qualche anno dopo, quelli che furono ribattezzati “i quattro moschettieri”, appassionati di auto e competizioni, pensarono ad una gara da correre sulle strade normalmente utilizzate per gli spostamenti quotidiani. La leggenda della 1000 Miglia iniziò alla fine del 1926 grazie all’entusiasmo del Conte Aymo Maggi di Gradella, il suo amico, e primo finanziatore, Conte Franco Mazzotti, entrambi alla guida della neonata AC Brescia, Renzo Castagneto, dotato di ottime capacità organizzative e con un passato da pilota, e il giornalista Giovanni Canestrini della “Gazzetta dello Sport” idearono e progettarono la corsa, in risposta alla mancata assegnazione a Brescia, loro città natale, del Gran Premio d'Italia.
Passione grande la loro, documentata dal racconto delle folli corse inauto, gareggiando in velocità con il treno per Milano.
Nasce “la corsa più bella del Mondo”
La scelta del tracciato fu compiuta con un consulente d’eccezione, con Canestrini a fare da ponte. Da tempo la Gazzetta dello Sport organizzava il Giro d’Italia di ciclismo e per dar vita alla 1000 Miglia Renzo Castagneto fu accompagnato dal “papà del giro” Armando Cougnet a compiere sopralluoghi e ricognizioni . Fu scelto un percorso a forma di "otto" da Brescia a Roma e ritorno, su una distanza di circa 1.600 km, corrispondenti a circa 1000 miglia, da cui il nome.
L’intento era quello di offrire alla competizione una funzione tecnico-sociale e anche turistica, come scrisse lo stesso Canestrini, suscitando l’interesse dell’ambiente politico che, a quei tempi, aveva nella propaganda un punto fermo. E in virtù di questo l’Italia fu tra i primi Paesi ad avere un’autostrada, vista come la soluzione ideale per viaggiare più sicuri e più veloci e adeguarsi al nuovo mezzo di trasporto che era l’automobile.
Le strade al tempo erano in gran parte di terra battuta e vivace era il dibattito su quale fosse il fondo migliore che si ipotizzava dovesse essere liscio e inattaccabile dalle diverse condizioni meteorologiche. Si optò per l’asfaltatura con catrame.
Mesi di lavoro per segnare il percorso che da Brescia andava verso Bologna, con l’attraversamento poi dei passi della Futa e della Raticosa. Poi Firenze, fino a Roma e ritorno sugli Appennini sul Passo della Somma vicino a Spoleto con direzione per la Costa Adriatica, risalendo verso il Veneto, fino a Feltre, prima della discesa verso Bassano, Verona e il lago di Garda per il rientro a Brescia. Si decise di illuminare le strade, allora prive di lampioni, dotando i commissari di percorso di torce a vento senza fumo, a fiamma solare.
Il 27 marzo del 1927, alle 8 di mattina, prese il via la prima edizione con settantasette equipaggi, due soli dei quali stranieri. I concorrenti arrivarono alla partenza carichi di quanto poteva essere necessario per qualche giorno di viaggio, dal momento che si ipotizzava una durata della gara di almeno 48 ore. Primi a partire Aymo Maggi e Bindo Maserati sulla Isotta Fraschini. Cinquantacinque vetture portarono a termine la corsa, mentre ventidue furono costrette al ritiro. I vincitori della prima Mille Miglia furono Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi a bordo di una OM, che completarono il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi e 1/5 alla media di Kmh 77,238, ben oltre ogni più rosea aspettaiva, considerando che l’ultimo equipaggio, a bordo di una piccola Peugeot 750 di serie, tagliò il traguardo dopo 34 ore.
Negli anni successivi i percorsi furono leggermente modificati, pur mantenedo l’asse di scorrimento Brescia-Roma e ritorno. Questo per il crescente successo della 1000 Miglia e il conseguente aumento delle richieste di attraversamento da parte di molti comuni italiani, tanto che nel 1934 la 1000 Miglia arrivò a toccare Venezia, con il passaggio delle auto sul ponte sulla Laguna.
Cresce la passione per l’auto, non solo sportiva
In poco più di una decina di anni la gara assunse sempre più i connotati di gara di velocità, evidenziando anche l’evoluzione tecnologica che aveva caratterizzato il lavoro della case automobilistiche. Nelle diverse competizioni dell’epoca si distinguevano Ferrari, Alfa Romeo, Maserati, Mercedes, Bugatti, BMW. E le evoluzioni motoristiche pensate per le corse, andavano via via trovando sempre più spazio nella quotidianità, nelle auto di tutti i giorni che acquistano in prestazioni e sicurezza, diffondendosi in ogni fascia sociale.
Significativi sono i numeri relativi alla FIAT. Nel 1900, dopo 12 mesi di attività, l’azienda di Torino era in grado di produrre 24 auto all’anno. 10 anni dopo circa 1250. Nel ’55, solo per la produzione della Balilla, lo stabilimento metteva sul mercato 510 mila auto all’anno.
Ad accresscere il già grande alone di leggenda intorno alla corsa c’erano poi le prestazioni dei piloti, da Rudolf Caracciola, alla guida di una Mercedes, primo non italiano nel ’31 a vincere la 1000 Miglia, a Clemente Biondetti, detentore del record di vittorie alla Freccia Rossa, da Tazio Nuvolari a Gigi Villoresi,da Piero Taruffi a Stirling Moss, detentore del record di percorrenza della gara con la sua Mercedes SL Ali di Gabbiano nel 1955. Con una media di 157,65 chilometri orari copre il percorso in 10 ore 7 minuti e 48 secondi.
La partecipazione alla 1000 Miglia diventa così il sogno che in molti vorrebbero realizzare. Per i piloti e le case costruttrici partecipare alla Freccia Rossa diventa motivo di vanto, oltre che una verifica di quanto studiato e realizzato dal punto di vista motoristico. Per chi assiste alla gara, con quel suo alone di spettacolarità dato dall’abilità e spesso anche dall’azzardo dei suoi protagonisti, assume un valore di speranza che fa da incoraggiamento allo sviluppo del paese, ancora contadino, ma affascinato da una modernità motorizzata e rombante, pur sullo sfondo di uno scenario politico internazionale che comincia a mutare, tanto che anche nella gara si registrano numerose defezioni di case automobilistiche e quipaggi stranieri.
L’Italia e la politica internazionale
L’Italia è impegnata nella guerra in Abissinia. Benito Mussolini nel maggio del 1938 riceve la visita di Adolf Hitler e, successivamente, si promulgano anche le leggi razziali.
Il ‘38 è un anno che segna una svolta anche per la corsa. Clemente Biondetti vice a mani basse con la sua Alfa Romeo 8C, sulle cui prestazioni il nuovo direttore della Alfa Corse, Enzo Ferrari, sicuro del fatto suo, aveva addirittura raccolta scommesse prima della partenza. Un’edizione però segnata da un terribile incidente stradale a Bologna, dove morirono 10 persone, di cui 7 bambini. Il Governo, con apposito decreto, proibì tutte le competizioni metropolitane. All’epoca la 1000 Miglia si svolgeva in gran parte con l’attraversamento dei centri abitati e la decisione portò, di fatto, alla chiusura di un capitolo importante, dal punto di vista sportivo.
Il primo stop per la gara
L’anno successivo la 1000 Miglia non fu disputata, ma i quattro moschettieri continuarono a lavorare per poter accontentare il desiderio loro e di molti altri di tornare a vedere i bolidi rombanti sfrecciare lungo lo stivale. Le ipotesi avanzate furono numerose e fra queste anche l’idea di organizzare la corsa in Africa, nelle colonie, prendendo come spunto il già esistente Gran Premio di Tripoli e la Tripoli-Tobruk. Ma tutto si arenò. Con un escamotage, aggirando i “vincoli” dei centri abitati, si perfezionò, per ferma volontà di Renzo Castagneto, una sorta di circuito Nel triangolo Brescia-Cremona-Mantova.
Così nel 1940 la 1000 Miglia riuscì ancora una volta a dare impulso allo sviluppo delle vie di comunicazione. Per l’occasione le strade già esistenti furono sistemate, furono create circonvallazioni e curve come varianti ai centri abitati. Infrastrutture che poi rimasero nell’uso comune. Un tracciato di 165 chilometri, da ripetere 9 volte, che partiva, non da viale Venezia, ma da Viale Duca degli Abruzzi a Brescia. Qui, per quello che fu denominato Gran Premio Brescia delle 1000 Miglia, furono erette gigantesche tribune, che gli spettatori non mancarono di gremire in ogni ordine di posto.
Una partecipazione e un entusiasmo al di là di ogni aspettativa, dato non solo dalla passione per i motori, ma probabilmente anche e soprattutto per esorcizzare tensioni e preoccupazioni che arrivavano dalla politica. Era il 28 aprile del 1940. Vince una BMW, disegnata dalla Touring di Milano, in grado di raggiungere i 200 km/h sul percorso lineare e pianeggiante disegnato per la gara. Dopo qualche giorno l’Italia entra in guerra e le gare vanno, naturalmente in soffitta.
Nel 1943 il conte Franco Mazzotti muore dopo essere stato abbattuto con il suo aereo durante una missione sopra il mare di Sicilia. La 1000 Miglia perde così, in maniera tragica, uno dei suoi inventori, al quale a partire dal 1947 sarà intitolata la 1000 Miglia con l’aggiunta della dicitura Coppa Franco Mazzotti.
Finita la guerra c’è necessità di ricostruire lo spirito prima ancora che le strutture del Paese. Un sentimento diffuso anche a Brescia dove, nonostante i bombardamenti, le deportazioni e la drammaticità degli eventi, la passione per i motori non si è mai sopita. E testimonianza è che, nelle difficoltà di gestire anche le più semplici necessità del quotidiano, proprio per dare nuovo impulso alla città, nel 1947 Renzo Castagneto, Aymo Maggi e Giovanni Canestrini, poterono contare sull’appoggio di Bruno Boni, allora presidente del Comitato di Liberazione e futuro sindaco di Brescia. Fu accordato il permesso di riprendere la gara e furono messi a disposizione dei concorrenti benzina e pneumatici, in quel periodo più preziosi dell’oro, tanto che un centinaio di iscritti, avuto l’equipaggiamento non si presenta al via, ovviamente senza restituire nè benzina nè gomme.
Da qui si ricominciò tutto, compreso il disegno del tracciato che non poteva più contare su quanto costruito fino a prima della guerra. La rete stradale era stata pesantemente danneggiata e così il nuovo percorso della 1000 Miglia fu invertito. Si decise di andare verso Roma passando da veneto e di abbandonare la forma a 8 lasciando un solo passaggio a Bologna, per il ritorno e allargando il tracciato di andata fino a Ravenna. Forse nel segno dell’avvio della Rinascite dell’Italia, vince l’Alfa Romeo di Emilio Romano che all’ultimo momento aveva ingaggiato come copilota Clemente Biondetti , rimasto senza auto.
Fu l’ultima vittoria della Casa del Portello nella 1000 Miglia storica.
Bastano due edizioni per far tornare la competizione ai fasti d’un tempo. Nel 1949, sull’onda delle rinnovate imprese di Nuvolari e dell’indomabile Biondetti, grazie ad un ritrovato benessere, le iscrizioni raddoppiano e si apre un nuovo capitolo della storia dell’automobilismo italiano. La 1000 Miglia apre le iscrizioni a tutti e fra i blasonati piloti ufficiali Ascari, Villoresi, Fangio, Bonetto, Nash, per citarne alcuni, arriva un giovane che senza dubbio incarna la voglia di realizzare un sogno, la voglia di riscatto personale e di un intero Paese. Giannino marzotto, definito dilettante, si presenta al via non senza suscitare clamore. Non con una tuta da gara, ma con un elegantissimo doppiopetto, indossando il quale, fra gli applausi, taglia il traguardo di Viale Venezia e vince l’edizione di quell’anno sulla Ferrari 155 di sua proprietà.
La 1000 Miglia, anche nel dopoguerra, si arricchisce di aneddoti che contribuiscono ad accrescerne il mito e eleggendo Brescia quale capitale mondiale dell’automobilismo sportivo, tanto che nel 1953 la gara di casa nostra viene inserita nel calendario del Campionato del Mondo Vetture Sport, insieme a competizioni dl calibro della Carrera Panamericana e della 24 ore di Le Mans.
Un ulteriore successo e un ulteriore richiamo a Brescia e in Italia non solo per i piloti, ma anche per i semplici appassionati che si trasformano anche in turisti, accrescendo il ritorno economico dato dall’occasione della gara. Renzo Castagneto, con la lungimiranza che lo contraddistingueva, riuscì a capire l’importanza della pubblicità, tanto da adottare una primordiale forma di marketing, davvero inusuale per il tempo, per valorizzare la gara, tappezzando la città con i colori della Freccia Rossa. Piazza Vittoria, luogo deputato alle punzonature, in quegli anni fu una delle piazze più fotografate d’italia con i suoi ombrelloni colorati e le transenne di legno, oggi recuperate per fare da cornice alla forma moderna della 1000 Miglia.
Non mancavano striscioni, le fiaccole e poi le luminarie a segnare l’avvio del percorso. Durante lo svolgimento della gara venivano allestiti enormi tabelloni in corso Zanardelli per aggiornare gli appassionati sull’andamento della corsa, anche attraverso altoparlanti. La città e anche la provincia, il lago di Garda in particolare, si mobilitano per l’accoglienze di equipaggi e team di assistenza, con la gioia degli albergatori che registrano il tutto esaurito.
Una gara che diventa sempre più vetrina per le automobili che vengono utilizzate per gli spostamenti quotidiani in maniera crescente. E a questo contribuiscono le imprese epiche dei piloti, come Stirling Moss che nel 1955, insieme a Denis Jenkinson, compie il record entrato nella leggenda.
Tutto finisce nel 1957. Vince Piero Taruffi, per la prima volta sul gradino più alto del podio. Sulla via del ritorno il nipote del Re di Spagna, il marchese De Portago, dopo aver forato, perde il controllo della sua auto e piomba sul pubblico con la sua auto, muore con il suo copilota e 10 spettatori. Il Governo fa calare definitivamente il sipario sulle corse su strada. Finisce definitivamente l’era della 1000 Miglia, nonostante i tentativi di tenerla in vita, attraverso una formula, ancora una volta lungimirante, pensata da Renzo Castagneto, del tutto assimilabile ai rally moderni. Il dibattito fu acceso, tanto da incrinare i rapporti fra i moschettieri, nonostante gli sforzi di Bruno Boni di ricucire le divergenze. L’idea di Castagneto non piaceva a Maggi e ai “puristi” della 1000 Miglia.
La gara, con formula inedita per il tempo fu proposta nel 1958 e nel 1959, con scarso successo di pubblico, nonostante la perfetta organizzazione dal punto di vista tecnico. Nel ’60 i detrattori ebbero la meglio, tanto che la 1000 miglia non fu organizzata. Nel 1961 l’ultimo tentativo andò fallito.
L’intero libro della 1000 Miglia, dopo aver contribuito allo sviluppo del Paese, a movimentare l’economia e in particolare il settore automobilistico e aereo, che ai tempi erano strettamente collegati, si chiudeva per sempre.
Solo 25 anni dopo si rispolvererà il marchio della 1000 Miglia per rievocare i fasti di un’epoca di fermento in cui la passione per l’automobilismo sportivo fu traino per il Paese. Nel 1982 l’avventura riparte, ma con un altro spirito.
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