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Vischio, abeti e pungitopo: la storia delle piante natalizie

Perchè si fa l'albero di natale? Perchè ci si bacia sotto il vischio? La risposta alle tradizioni natalizie
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In queste giornate dicembrine, alzi la mano chi non ha mai dovuto ingegnarsi per comprimere nel bagagliaio abeti veri o verosimili, cercare per zie e nonne le stelle di Natale o il vischio sotto cui scambiarsi un bacio beneaugurante con l'amore suo.

Il confine tra tradizione e abitudine però è sottile: conoscere la storia di ciò che entra nelle nostre vite può fare la differenza tra riempire le giornate di cose o dar loro un senso. Abeti, rose e stelle di Natale, vischio ma anche agrifoglio, pungitopo, ginepro, corbezzolo e verbena: è questa la squadra delle piante natalizie e di Capodanno, cariche di significati, eco di credenze legate al Solstizio. Come sono arrivate e perché nei nostri appartamenti?

L’abete. È uno degli alberi della vita, cosmici, ovvero simboli antichi e profondi, assi ideali tra cielo e Terra, tra umano e divino. Deve la sua fortuna tra i popoli antichi, dagli Egizi ai Celti, anche per la caratteristica di essere sempreverde, interpretata come un segno divino. I Romani alle Calende di gennaio appendevano rami di pino come decorazione, come pure Celti che festeggiavano così il solstizio d'inverno, ricorrenza a cui è stato sovrapposto il nostro Natale. Nel Medioevo la Chiesa cercò di sostituirlo con l'agrifoglio, in cui vedeva la corona di spine della Passione; l'abete riuscì, tuttavia, ad imporsi come albero della vita rinnovata da Cristo. In Estonia e Lituania, si pensa che, tra Quattro e Cinquecento, si sia cominciato ad innalzare alberi di Natale, davanti alle cattedrali. La tradizione passò al mondo tedesco, in Renania in particolare, e per questo fu considerata tipica del Protestantesimo. Si diffuse nell'Ottocento romantico, amante delle tradizioni medievali, entrando nelle case private, grazie a testimonial come Goethe, che lo citò nel «I dolori del giovane Werther» o a sovrani legati alla Germania tra cui Alberto, il marito della regina Vittoria; in Italia spettò alla nostra sovrana Margherita proporlo, come già aveva fatto per la pizza, a fenomeno nazional popolare. Il trionfo definitivo arrivò col primo Novecento grazie al marketing e all'egemonia statunitense, cui dobbiamo anche i Babbo Natale vestiti di rosso.

Stella di Natale, vischio e le altre piante. L'Euphorbia pulcherrima, questo il suo nome latino, fu scoperta da Cortes e i suoi conquistadores alla corte di Montezuma, dove era un omaggio rituale per il sovrano. Arrivò però in Europa passando dagli Stati Uniti: un entusiasta Joel Robert Poinsett, ambasciatore in Messico, nel 1825 la portò nella sua Virgina. La rosa di Natale invece, popolare già nella mitologia greca, deve la sua fortuna alla leggenda della pastorella che, disperata per non aver nulla da donare al Bambin Gesù, vide spuntare questi fiori dalla neve.

Sul vischio ci sarebbe da scrivere un trattato: pianta sacra e misteriosa perché senza radici. Era fondamentale nella cultura celtica, che gli attribuiva proprietà medicamentose e magiche, talismano contro il male; diventò simbolo di Cristo, luce del mondo la cui nascita era un mistero, seppur di fede, proprio come quella del vischio.

Agrifoglio e pungitopo, oltre che protezioni dei cibi contro i topi, erano amuleti beneauguranti, collegati in era cristiana alla Passione di Cristo. Il ginepro, di cui si bruciava un ramo nelle serate natalizie in Emilia, era collegato alla Santa croce per la resistenza a tarli e marcescenza. Sacro ma anche profano: in Germania si credeva ospitasse frau Waccholder, una fata in grado di far ritrovare cose rubate. Il corbezzolo invece, simbolo risorgimentale nell'Italia ottocentesca, era legato al solstizio tra i Romani, come la Verbena, che si diceva cresciuta ai piedi del Calvario e associata, in Sicilia, a pratiche magiche, ma anche a Santa Lucia, protettrice della vista.

Vittorio Nichilo

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