Storie

La passione dei Cayeux per le iris

Da quattro generazioni selezionano e creano nuove varietà. La più ricercata? Quella rossa
AA

Milleduecento varietà di iris, venti ettari e ottocentomila piante madri.

I Cayeux coltivano questo fiore, che i nostri nonni chiamavano giaggiolo, da quattro generazioni, nel centro della Francia, a Poilly-Lez-Gien, 160 km a sud di Parigi. E sono tra i più importanti ibridatori. Non solo di Francia. Il genere Iris raccoglie circa duecento specie di piante della famiglia delle Iridacee. Rizomatose o bulbose. Le più conosciute sono senz’altro le Iris germaniche, o barbate, piante rustiche, resistenti al gelo e alla siccità, che necessitano di poche cure. I fiori sbocciano da fine aprile a giugno, sono grandi, colorati, formati da sei petali, tre portati verso l’alto e tre verso il basso. Nel centro la tipica barba. Amano il sole e non sopportano i ristagni d’acqua e, al momento della messa a dimora, bisogna solo prestare attenzione a non piantare i rizomi in profondità. Pena il marciume. Basta concimare con stallatico maturo una volta all’anno e dividere ogni quattro anni i cespugli. Facilissima anche la riproduzione da rizoma. I giaggioli crescono rigogliosi anche in natura lungo i pendii o le rive assolate: per questo, probabilmente, divenne simbolo della città di Firenze.

Quello che noi chiamiamo giglio, infatti, non è altro che un fiore di Iris. Stesso successe in Francia: il fleur de Louis, l’iris, venne poi confuso, a causa della somiglianza nella pronuncia, con fleur de lys, il giglio. Come nascono le iris. E da qui ritorniamo in Francia, nella tenuta Cayeux. Oggi l’azienda è in mano a Richard. «La passione per le iris è tramandata di generazione in generazione e ognuna - ci ha raccontato - apporta il suo contributo all’evoluzione di questa pianta generosa che offre un gran numero di possibilità dal punto di vista genetico». A inizio stagione a Poilly-Lez-Gien si contano 800mila piante. Tre volte di più a fine fioritura.

 

Ma la moltiplicazione delle iris, che danno tanta soddisfazione anche ai giardinieri più sprovveduti, non avviene solo per rizoma: in questo appezzamento nel cuore della Francia si lavora soprattutto alla creazione di nuove varietà. «Le novità - ci spiega Richard Cayeux - vengono create per impollinazione. Un’operazione abbastanza semplice dal punto di vista tecnico». Ma la difficoltà sta nel trovare qualcosa di nuovo: trovare caratteri interessanti nelle piante madri da trasmettere alle piante figlie. «Può richiedere molto tempo - sottolinea Richard - e se si è fortunati il risultato viene ottenuto alla prima generazione e ci vorranno da due a quattro anni. Poi saranno necessari altri cinque o sei anni di osservazione e di moltiplicazione prima di poter proporre la nuova iris al pubblico. In media - conclude - occorrono dagli otto ai dieci anni fra l’incrocio e la commercializzazione».

E la scelta del nome? «Spesso avviene in funzione del colore , così "Sorbet Fraise" è colore rosso fragola, ma abbiamo anche richieste da persone conosciute, pittori o artisti. Ho anche creato tre varietà in onore delle mie figlie: Astrid, Hortense e Sixtine». I nomi però non devono essere già stati utilizzati dalla «Società americana degli Iris», attentissima a monitorare questo aspetto.

Tra bordure e sogni. Le iris stanno bene anche da sole, ma abbinate ad altre piante come rose o lavande, prestando attenzione a colori e fioriture, sono spettacolari. «Bisogna però - avverte Cayeux - considerare lo sviluppo dei vicini poiché le iris temono la concorrenza. Ed evitare anche facciano loro ombra». Come la rosa nera, o blu, è l’obiettivo degli appassionati di rose, così l’iris rossa per quelli dei giaggioli. «Cerchiamo di ottenere iris di un bel bianco, rosa e verdi. Di creare nuovi motivi come fiori dai sepali bianchi con venature blu. Ma soprattutto che siano resistenti alle malattie». Ma il desiderio però di tutti gli ibridatori è un altro: «Crearne una di un rosso intenso, rifiorente, con 15 boccioli a gambo è anche il mio sogno e certamente quello della prossima generazione». Che sarà tinta di rosa.

Elisa Rossi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia