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Strangolata a 19 anni: la battaglia dei genitori

La famiglia della 19enne uccisa nel 1989 chiede allo Stato gli stessi diritti riconosciuti nei casi di terrorismo.
Il video di Teletutto: la battaglia dei genitori di Monia
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Un ricorso contro lo Stato italiano per chiedere giustizia. Una richiesta di risarcimento che mai comunque cancellerà la morte di una figlia. Perché è impossibile pensare che il denaro possa rimarginare la ferita.

Ma la battaglia legale partita da Brescia è la battaglia di un intero Paese. Ieri davanti al Tar di Brescia è stato discusso il ricorso presentato da Adriano Del Pero e Gigliola Bono. I genitori di Monia Del Pero, uccisa a 19 anni nel dicembre del 1989. Strangolata dall’ex fidanzato, avvolta in un sacco dell’immondizia e occultata dentro una conduttura di scarico delle acque del fiume Mella a Manerbio. Oggi, 24 anni dopo l’omicidio, la famiglia Del Pero chiede che lo Stato italiano riconosca alle famiglie delle vittime di violenza gli stessi diritti e benefici economici che spettano già ai familiari delle persone uccise per mano della criminalità organizzata e del terrorismo.

«È una legge anticostituzionale. Mia figlia per lo Stato è una vittima invisibile» denuncia la madre di Monia Del Pero: «Viene violato l’articolo 3 della Costituzione: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla Legge». E il richiamo va anche alle norme europee. Che l’Italia sembra non recepire. Nelle 36 pagine di ricorso al Tribunale amministrativo regionale il legale della famiglia di Manerbio, l’avvocato Pierina Buffoli, chiede, infatti «l’accertamento delle condotte dello Stato con condanna dell’Amministrazione intimata al totale risarcimento dei danni patrimoniali del ricorrente nonché per inadempimento dello Stato italiano nella esecuzione della normativa europea».

L’Europa con una Direttiva del 2004 impone infatti agli Stati membri il risarcimento delle vittime dei reati violenti. L’Italia però ad oggi non ha mai fatto un passo avanti in tal senso. Dopo la discussione in aula del ricorso, dal Tar di Brescia si attende la sentenza. Il provvedimento d’urgenza è atteso tra due settimane. E gli occhi dell’Italia sono puntati proprio sulla nostra città. «Con l’accoglimento del ricorso tante famiglie italiane avrebbero finalmente giustizia» denuncia Maria Teresa D’Abdon, presidente dell’Associazione Italiana Vittime di violenze, presente anche lei in aula a Brescia: «Perché è la battaglia di tutti». Una richiesta di giustizia, diventata caso nazionale. Non resta ora che attendere la sentenza del Tar.

Andrea Cittadini

 

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