Bassa

Sessanta vittime in 5 esplosioni: «Un museo per le stragi alla Vulcania»

La storia della polveriera tra Montichiari e Castenedolo è fatta anche di esplosioni letali: la prima nella fase di collaudo, l’ultimo nel 1947
Le fotografie di alcune delle vittime - © www.giornaledibrescia.it
Le fotografie di alcune delle vittime - © www.giornaledibrescia.it
AA

Più giorni dedicati alla Fascia d’Oro, «terra di mezzo» colma di storia, tra Montichiari e Castenedolo. E, in particolare, dedicati anche alle tante vittime della Polveriera Vulcania, per non dimenticarle e per non smettere mai di parlare della sicurezza dei lavoratori.

A volere l’iniziativa è stata l’associazione Carmagnola di Castenedolo che, per la prima serata, svoltasi venerdì a Palazzo Frera, ha invitato il gruppo monteclarense di Vighizzolo «C’era una volta paese mio», il quale da tanti anni si occupa di fare ricerca storica su quella polveriera di Montichiari che portò in zona tanto lavoro, ma anche la morte di sessanta persone. Persone i cui nomi sono stati letti alla fine della drammatizzazione del racconto storico narrato da Giacomo Tosoni, Gabriele Polise, Pieranna Civera e Ferruccio Gherardi, nonché accompagnato da musicisti. Della Vulcania oggi si possono vedere solo pochi resti.

Gli organizzatori della serata insieme ai rappresentanti delle istituzioni - © www.giornaledibrescia.it
Gli organizzatori della serata insieme ai rappresentanti delle istituzioni - © www.giornaledibrescia.it

Per non dimenticare

«Il nostro intento è portare a più persone possibili la conoscenza di questi fatti - ha spiegato Tosoni -. Noi lo stiamo facendo dal 2016 affinché non si dimentichino le vittime». La storia della polveriera è fatta di lavoro (si giunse anche a 850 dipendenti, nonostante il pericolo), certo, ma anche di esplosioni letali: «Si sono registrate cinque esplosioni mortali e una sesta, risalente al 1947, che ha causato danni stimati in cinquecento milioni di lire; quest’ultima esplosione fu legata a un fulmine e non fece vittime perché avvenne di sera, in un momento di chiusura - ha proseguito Tosoni -. I danni di quest’ultima esplosione oltretutto non furono mai risarciti perché prima fu considerata "atto bellico", ma poi il governo ci ripensò».

La storia

La cronistoria dell’azienda e delle sue esplosioni è fitta: «Venne fondata nel 1910 dal marchese Roberto Imperiali (che muore in una delle esplosioni, ndr) con altre persone; si chiamava la Camuna, e tale rimase fino al 1911-1912 - ha approfondito Tosoni -. Il primo scoppio avvenne prima dei collaudi, forse per una caldaia rimasta senza acqua. La polveriera produceva esplosivo in un primo momento impiegato per realizzare lavori stradali ed edili. Poi rimase ferma circa 15 anni e ripartì cambiando nome e proprietari: prende il nome di Meccanurgica. Al 1929 risale il terzo scoppio: morirono 20 persone di cui 16 sono donne (in generale, diverse vittime della polveriera sono donne, alcune incinta, ndr); il reparto in cui lavoravano era chiuso dall’esterno. È alla fine del 1930 che, cambiando nuovamente società, prese il nome di Vulcania. Al marzo 1940 risale un’altra esplosione con 30 vittime e 86 feriti. Durante la Seconda guerra mondiale venne bombardata più volte e si registrò una vittima. Nella fase bellica produsse principalmente armamenti, oltre che polvere da sparo per la caccia. Infine si ha l’ultima esplosione, del 1946, con tre vittime».

Sia il gruppo di Vighizzolo, sia l’associazione Carmagnola hanno auspicato la conservazione dei resti della Vulcania, nonché l’allestimento di un museo dedicato. Alla serata era presente l’assessore alla Cultura di Montichiari Angela Franzoni che ha ringraziato per l’impegno nella ricerca storica e nel fare memoria. Sabato sera l’associazione Carmagnola, alla «casetta» della Fascia d’Oro di Montichiari, ha presentato anche un libro dal titolo «Fascia d’Oro di Montichiari: storia di una frazione».

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia