Neonata morta in casa, i familiari: «Fatto di tutto per salvarla»

Sullo schermo dei cellulari ogni volta che si illuminano compare la foto dei figli. La più piccola, nata ad ottobre, non c’è più da una settimana. «È morta tra le mie braccia. Ho seguito passo dopo passo quello che gli operatori del 118 mi dicevano al telefono. Ho ripetuto il massaggio cardiaco dieci volte. Trenta compressioni per volta. Sembrava si fosse ripresa e invece non ce l’ha fatta» racconta in lacrime il nonno della neonata deceduta il 29 dicembre in un paese dell’Ovest bresciano.
«L’ho messa sul tavolo della cucina, ho ascoltato tutte le indicazioni dei medici. Non mi do pace. Ho fatto di tutto per salvare la mia nipotina».
L’indagine
Il nonno, 49 anni, e la mamma 29enne della piccola - che erano in casa in quel momento - sono stati indagati per omicidio colposo, atto dovuto dopo che la Procura ha disposto l’autopsia sul corpicino della bambina, nata prematura e che al momento del decesso è risultata positiva al Covid. «Le ho dato il latte alle 11 e poi l’ho messa nel lettino. Quando sono tornata a prenderla alle 15 era in arresto cardiaco. Sono stati momenti terribili» spiega la madre.
La donna ha altri tre figli, di cui una è gemella della neonata scomparsa. Tutti sono stati allontanati dalla famiglia. «È una tragedia nella tragedia. Il giorno dopo la morte della piccola sono venuti a portarmi via i bambini. È una decisione ingiusta» si sfoga la giovane mamma.
Tolti gli altri figli
Il provvedimento d’urgenza del Tribunale dei minori è scattato proprio a seguito della morte della neonata. Il procedimento è stato infatti aperto il 30 dicembre. «Il tragico evento della morte della bambina è legato alle condizioni di grave pregiudizio del nucleo familiare in cui viveva. Pregiudizio che ora permane in modo forte e drammatico per i suoi fratelli e la sorellina. Grave è il disinteresse manifestato nei loro confronti per aver trascurato l’assistenza delle bambine nate premature, per averle fatte visitare solo due volte in quasi due mesi e per aver rifiutato le dimissioni assistite, per averle trascurate anche dopo il ricovero per sospetta bronchiolite e per averle tenute sole in una stanza senza tenere conto delle loro condizioni di salute» scrivono i magistrati nell’ordinanza che gli avvocati Marino Colosio, Francesca Scagliola e Bianca Scaglia impugneranno per chiedere l’annullamento.
L’udienza è il 19 gennaio
«Veniamo descritti come dei mostri, come dei genitori che si sono disinteressati dei loro figli, ma non è vero nulla» si difendono il padre e la madre dei bambini. Lei percepisce il reddito di cittadinanza, lui lavora e ha uno stipendio regolare. Così come il nonno materno, dove la famiglia si era trasferita per poter risparmiare in attesa di momenti migliori. «Non nascondiamo che ci siano problemi economici, ma non siamo diversi da tante altre famiglie italiane. I nonni poi ci aiutano tantissimo e anzi sono fondamentali».
La neonata nei suoi primi due mesi di vita era stata a lungo in ospedale per problemi legati al parto pre-termine. «Abbiamo fatto fare tutte le visite indicate e quando era ricoverata in Terapia intensiva e considerando che avevamo anche gli altri figli da seguire siamo andati quasi ogni giorno a trovarla. Da quando sono nate siamo stati più in ospedale che a casa» assicurano. La famiglia bresciana era seguita dai Servizi sociali del paese di residenza. «Ma per mia scelta. Ero stata io a chiedere un aiuto dopo la nascita del primo bambino e ancora oggi mi faccio aiutare e ritengo utile e adeguato il trattamento del Cps. Ai miei figli non è mai mancato nulla» dice in lacrime la madre. «Non so più niente dei miei bambini. Dove sono, cosa fanno. Non li ho nemmeno salutati. Tutto questo - conclude la donna - fa male. Tanto quanto la morte della mia piccola».
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