Bassa

Mucca pazza, 20 anni fa a Pontevico il primo caso

Accadde alla Malpensata. Il ricordo di Mario Greci: «Che amarezza ripensare a quei giorni così bui»
Loading video...
MUCCA PAZZA 20 ANNI DOPO
AA

«Rispondo per educazione. Non dimentico nulla, è la mia storia. Io, intorno alla metà di marzo di 20 anni fa ho assistito all’abbattimento di tutto il mio allevamento in un macello della Bergamasca. Volete che non sia stato un dolore per me e la mia famiglia? Tutti abbattuti, tutti negativi all’esame. Una quindicina trattenuti alla Zooprofilattico per ricerche scientifiche. Questi anni sono volati via ed io con mia moglie Rosalba e i miei figli, siamo qui, andiamo avanti con un nuovo allevamento, con nuovi capi di bestiame, con la stessa passione di un tempo». Mario e Rosalba Greci ci accolgono nella loro casa attigua all’allevamento.

Torniamo sui nostri passi, arriviamo a Pontevico di sera, come allora, in due, insieme a Gabriele Strada, il nostro fotoreporter. Calpestiamo il nostro passato, allo stesso modo, impressiona. Ecco Pontevico, dove salutiamo i nostri morti, i Viscardi per tutti, assassinati a meno di due chilometri, da Manolo e la sua banda: era la notte del 15 agosto del 1990. Anche questa volta sembra ieri. Un chilometro e siamo dentro la cascina Malpensata. È l’ora di cena per chi vive in campagna. Bussiamo, entriamo, loro due insieme come un’antica coppia della civiltà contadina. Siamo imbarazzati e loro ci offrono la frase d’una volta: «Volete favorire?».

Mario Greci mette lì subito la fine della investigazione giudiziaria: «Ero accusato di falsa etichettatura e riciclaggio di bestiame illecito e straniero. Nel 2014 l’avv. Gallico dello studio Frigo ci chiama: è tutto finito, il fatto non sussiste». Nel 2014, il fatto non è più sussistito: 13 anni dopo. La signora Rosalba dice quello che non le è andato proprio giù: «Un pomeriggio tardi sono venuti nella mia casa agenti mandati dalla Procura e me l’hanno ribaltata, buttati per aria i materassi….Come fossimo dei criminali».

Mario Greci ricorda di aver aperto la società dopo il 2014: «Adesso siamo in tre, io e i miei due figli, Sergio e Roberto. Mia figlia Monica vive in paese, sposata con tre figli». Sulla parete alle sue spalle di capo tavola ci sono le fotografie dei nipotini, cinque. «Ogni giorno faccio la mia parte, alle 23.30 vado in stalla e torno verso le 5. I due figli sono bravi ed esperti in informatica, io non me la sento di mettermi a imparare al computer, ciascuno fa la sua parte. Ricordo tutto: l’assedio di voi giornalisti è durato due mesi, il 12 e il 13 marzo hanno portato via l’allevamento. Noi su questa azienda mettiamo il destino di tre famiglie, qui si lavora molto e non si diventa ricchi».

Torniamo a vent’anni fa e gli chiediamo se il bovino avesse un nome: «Non aveva un nome. La mucca pazza aveva un numero, il 103. Il pomeriggio erano venuti dei dirigenti della sanità, ci avevano raccomandato discrezione, silenzio. La sera, i telegiornali del mondo parlavano di noi. Se l’Italia riteneva che si dovesse fare pulizia, bene. Ma il solo allevamento abbattuto in tutta Italia, è stato il mio. In ogni caso, nessuno è morto, andiamo avanti».

Mario Greci ragiona con compostezza, si chiede cosa si potesse fare di meglio: «Noi non siamo all’altezza di sapere in che modo ci si doveva comportare. Io non ho fatto nulla. Mi sono comportato nel migliore dei modi. Dopo tanti anni, ci hanno detto che tutto andava bene. Un bel danno…». Mario e Rosalba Greci inseguono la sequenza di quei giorni: «La mucca 103 va via il 3 gennaio, il 9 viene abbattuta, il 12 l’esito positivo Ripeto, la vicenda più triste è stata la perquisizione della nostra casa: Rosalba ha pianto».

L’allevamento della cascina Malpensata non risultò infetto e i capi furono abbattuti. Mario Greci ritiene di aver fatto quello che doveva: «Avevo l’ordine di accudire il mio allevamento nel migliore dei modi ed ogni giorno buttavo litri e litri di latte. Dopo la mungitura e la pesa, il latte veniva buttato. Tanta amarezza. Gli allevatori mi sono stati vicini. Adesso continuo nel mio lavoro. Sono nato qui e la mia attività, all’inizio, era segnata su un quaderno-rubrica: il numero delle mie vacche, il primo parto, il secondo parto. Adesso servono cento carte per vendere un animale. Per carità, questo è lavoro dei figli, io vado in stalla ed esco alle 5 di mattina. Dopo 20 anni, queste ore di lavoro non sono cambiate. In questo senso, nella soddisfazione della giusta fatica, tutto è come prima».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato