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Montirone, il caso del bitumificio verso il Consiglio di Stato

Dopo la sentenza del Tar, gli ambientalisti proseguono con una nuova azione legale
L’impianto. Il progetto per il bitumificio in località Cava Betulla a Montirone - Foto © www.giornaledibrescia.it
L’impianto. Il progetto per il bitumificio in località Cava Betulla a Montirone - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Si dicono pronti a dare battaglia e ribaltare la sentenza del Tar di Brescia che ha bocciato il ricorso col quale chiedevano l’annullamento del permesso di costruire il bitumificio nella cava Betulla di Montirone, rilasciato dalla Provincia di Brescia alla Inertis Srl nel 2018.

Dopo la riunione di venerdì sera, il Comitato «Bitumificio? No grazie!» e il circolo Legambiente «La Nostra terra», hanno deciso «di intraprendere la strada della lotta, ricorrere al Consiglio di Stato, mobilitare le persone alla protesta e mettere in campo ogni strategia possibile per contrastare quella che secondo noi è un’ingiustizia, un sopruso, uno schiaffo alla salute e benessere dei cittadini ed infine una sentenza grave e pericolosa». È quanto scrivono in una nota i referenti del Comitato e di Legambiente all’indomani della pubblicazione della sentenza con cui il Tar di Brescia ha respinto il ricorso depositato nel 2020, col quale undici cittadini di Montirone, il Comitato e il circolo locale di Legambiente si erano opposti all’autorizzazione a costruire l’impianto rilasciata dal Broletto.

Una sentenza «grave» per diversi motivi: per aver, su richiesta degli avvocati della Provincia, estromesso il Comitato dal procedimento per «assenza del requisito di stabilità». Un chiaro tentativo – scrivono – di togliere ai cittadini il diritto a difendere «la salute e la difesa del territorio». Grave poi «per la scelta di accollarci le spese legali (3.000 euro per la Provincia, 3.000 euro per Inertis, spesso messe a compensazione) che pare essere una sorta di segnale intimidatorio a tutti quei comitati o associazioni che lottano per provare a difendere le loro ragioni». Infine, la sentenza è giudicata «pericolosa» perché creerebbe un precedente: «scaraventare su Montirone» un impianto nato dalla dismissione di due strutture in altri ambiti estrattivi, dall’Ate g20 e g23 di Brescia al g36 di Montirone, dove qualcuno «sperava che nessuno si sarebbe messo di traverso». Ma, evidentemente, aveva fatto male i conti.

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