Manda coca dalla Colombia, poi diventa un fantasma

Aveva scelto una strategia un po' troppo semplice per importare cocaina dalla Colombia: la spedizione tramite posta ordinaria. Per colpa di quella pericolosissima pensata il destinatario del plico, suo complice, è finito in carcere. Lui da allora si è dovuto arredare un esilio forzato dall'Italia. L'ultimo contatto risale al settembre del 1989. Da allora è stato silenzio.
La moglie, nella primavera scorsa, si è rivolta all'avvocato Maria Grazia Buratti per chiedere che il Tribunale dichiari la sua morte presunta, sbloccando così eredità e situazione patrimoniale. Se, dopo le pubblicazioni di rito nessuno si farà vivo, dando notizie di lui, il giudice con tutta probabilità cambierà il suo stato civile. Per la legge sarà la vedova di Edoardo Costa, 67enne tabaccaio di Castelcovati.
L'uomo è salito agli onori delle cronache nell'estate del 1987, quando i cani antidroga di Fiumicino mandano all'aria il suo piano e, scodinzolando, svelano il contenuto del pacchetto inviato da Bogotà. All'estremità del guinzaglio le Fiamme Gialle al servizio in frontiera non possono avere dubbi. E non ne hanno. Dalla capitale mondiale della cocaina, Costa ha inviato un plico di droga purissima. La sua destinazione è Castelcovati, e a Castelcovati quel pacchetto - quasi un chilo e 300 grammi di coca al 96% - ci arriva accompagnato dalla scorta dei finanzieri.
Non appena il complice di Costa lo ritira scattano le manette e, dall'altra parte del mondo, inizia la latitanza del tabaccaio. La notizia del naufragio della spedizione che gli avrebbe permesso di cambiare vita (quel pacco gli avrebbe fatto incassare circa mezzo miliardo delle vecchie lire) lo induce a non staccare il biglietto del viaggio di ritorno. Il 67enne di Castelcovati decide di invecchiare in Colombia.
La giustizia italiana intanto procede anche senza di lui. Dopo l'arresto del complice, avvenuto il 12 agosto del 1987, nel luglio del 1988 il Tribunale si pronuncia. A Costa la condanna più pesante: 4 anni e 8 mesi. Tre gli anni invece al complice.
Sulle tracce del commerciante di Castelcovati, oltre alla magistratura, ci si mettono anche i familiari. L'unico a tenere i contatti, ma non per molto, è un figlio. Il giovane si reca pure a Bogotà, denuncia la sua scomparsa all'ambasciata italiana nella capitale colombiana, ma anche le ricerche ufficiali sono destinate a cadere nel nulla.
La famiglia del tabaccaio di Castelcovati non si dà per vinta e incarica delle ricerche un avvocato colombiano. Anche il professionista fallisce, anzi fa di peggio. L'incrocio con il legale non è per nulla fortunato. Il figlio di Costa viene contattato da quest'ultimo che gli fissa un incontro a Ginevra con un uomo, tale Jonh Gelvez. Gelvez gli deve consegnare documenti del padre. In realtà lo mette nei guai. Il colombiano, fermato in aeroporto con alcuni chili di cocaina, dice che il destinatario della droga sono proprio il figlio di Costa e un amico che l'accompagna. I due bresciani finiscono in galera e ci rimangono fino a quando Gelvez si rimangia le false accuse. Dopo sedici mesi i due tornano in libertà.
Da allora sono passati 22 anni di silenzi, che il Tribunale si appresta a ufficializzare dicendo l'ultima parola.
Pierpaolo Prati
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